30 dicembre 2010

la cuccia

Guaio in questi giorni se l'è passata un po' male la sera. La routine natalizia sta avendo qualche strascico pericoloso nelle mie serate alcoliche. Il freddo la sera si sta facendo di nuovo pungente, e ore che mi trovo a casa dei miei con giardino e compagnia bella, Guaio se la passa alla ghiacciaia mentre io bagordo in giro. Il patto è che lui sopporta la sera e io mi sdebito con un bagno di due ore al mare (pure con sto cazzo di freddo) nel pomeriggio.
Così ieri, per appianare i miei sensi di colpa da padre irresponsabile, gli ho comperato una cuccia in legno. L'ho parcheggiata giusto fuori la porta di casa. Domani dovrei mettergli il cartello con il suo nome sopra. Mentre la montavo mia madre mi scrutava tra l'incuriosito e l'inquisitore. Stavo invadendo uno spazio del suo territorio, e la cosa sembrava infastidirla. Poter mettere la cuccia del piccolo è stata una concessione, non un trionfo. Guaio ha subito gradito, l'ha pure personalizzata mordendo la porta d'ingresso. Wild la vuole. Dall'altro lato sembrava chiedersi perchè dessi segni di sedentarietà quando non riesco a stare fermo più di tanto da nessuna parte. Soprattutto nella casa al mare dei miei. Questo aspetto della faccenda mi ha intimorito alquanto, aprendo una voragine con un grosso punto interrogativo, puntato dritto verso il domani. L'unica cosa che potevo pensare era "devo andarmene, andare avanti con la merda di romanzo che sto scrivendo (e che non avrà mai l'onore d'essere pubblicato), ma soprattutto trovarmi un lavoro". Sto bighellonando come un rassegnato. Un condannato ad una pena che si sconterà si spera tra molto tempo, ma il cui timore ha già impatti sul presente.
Sta sera ho cenato con amici. Dovevo reagire. Fare cose normalmente mi fa sentire una persona meno frustrata. In più ho tempo da perdere. Gioia ci ha messo 36 ore a rispondere al mio messaggio. Sto cercando di maturare una risposta che arrivi direttamente al dunque: vederci. In realtà è infantile il modo con cui uso questo principio di quella che ha tutte le carte in regola per essere una storia d'amore da quattro soldi per occuparmi il tempo. Soprattutto quando guido. Il profilo greco di Gioia mi ossessiona costruendoci attorno tutto un contorno di forme. È il pensiero del guidatore solitario.
La cena è stata tutta a base di tartufo, giusto per livellare ulteriormente le entrate finanziarie natalizie. I ragazzi continuavano a parlare da intenditori culinari delle proprietà dei migliori tartufi bianchi d'Alba. In realtà non me ne fregava un cazzo di cosa si stesse parlando. L'unica cosa che mi salvava era stare la, mangiando e bevendo come un processo di socializzazione meccanico. Solo quando, sulla finestra, mi sono fumato una sigaretta, ho capito che era tutto regolare, che c'era l'assenza di sofferenza, comunemente definità felicità. Le chiacchiere di sottofondo mi hanno riportato a quando ero bambino,  il soggiorno pieno di rumori e di gente, e io in un angolo a giocare con le macchinine. Ora ammazzerei metà della gente di quei bei ricordi, ma ho sorriso, perchè per quel bambino li quei ricordi sono felici.
Sta sera scrivo a Gioia, mi sono convinto. Glielo devo far capire che non si può sprecare vita in tributi alla gente. Anche perchè è tutto così noioso sennò. È tutto così terribilmente piatto da assumere le sembianze di una tortura a lungo andare. E più vado in questa direzione, e più desidero con tutto il cuore che qualcuno mi regali una cuccia di legno, dove potermi mettere dentro nelle fredde sere di solitudine, per scaldarmi un po' il cuore. 

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