5 giugno 2011

politichese

La sveglia ha suonato prima del solito oggi, impegni di vita pratica mi hanno smosso dalla mia blanda routine quotidiana per trasformarmi in una di quelle persone che credono che avere 100 euro in più in banca valga lo sforzo di alzarsi con ancora sonno addosso. L'unico vero lato positivo è che a quest'ora trovo ancora i cornetti caldi nei bar delle formiche operaie. La sintomologia del giorno diverso era nell'aria già da prima che sentissi le futili chiacchiere da strada. Incredibile come i più grandi dibattiti filosofico politici si consumino davanti ad un bicchiere di vino nel più squallido bar di provincia (quello che io frequento normalmente).
Tutti avevano un gran chiacchierare, confabulare, stupirsi in acuti fuori luogo e fuori tempo. Normalmente se accade qualcosa che attira l'attenzione generale io cerco di defilarmi nel più breve tempo possibile. La morbosità con cui la gente specula sulle vicende altrui è tarrificante. Morbo, morbo, morbo.
Il tema della mattinata sono i risultati delle elezioni politiche locali: il centrosinistra ha battuto inaspettatamente il centrodestra berlusconiano affarista. Milano è caduta in mano ai rossi che dalla russia più profonda hanno attraversato mezza auropa per giungere nella città della moda per imporre a tutti basco e pellicciotto.
Al leggere la testata del giornale ho sentito un buco nell'anima. Una di quelle sensazioni di vuoto e vertigine che ti scavano dentro fino ad amplificare l'eco del nulla. Alcuni operai seduti ad un tavolo bevendo prosecco di bassa qualità esultavano peggio che se l'Italia avesse rivinto i mondiali di calcio. Guardavo i loro occhi pieni di speranza, così lucidi da lasciar trasparire una fiducia incondizionata verso il grande cambiamento che si stava producendo. La sinistra ha dato un colpo di coda, e non solo è viva, ma ha pure vinto.
Ho bevuto il mio cappuccino mentre era ancora troppo caldo, scottandomi la lingua. Ho pagato rapido il conto senza nemmeno mangiare il cornetto alla cioccolata che pregustavo come unico premio per la levataccia. Uscendo dal bar mi sono reso conto di come la gente viva ancora dentro schematismi obsoleti, di come i nostri governanti siano riusciti con un colpo di scena a rimestare speranze e illusioni. Mi rendo conto di come nessuno in sto cazzo di paese si renda conto che il teatro della politica è lo show più retribuito del mondo, di come noi siamo solo fornitori di sudore. Ha vinto la sinistra a Milano, e allora? Credete che affarismo e cementificazione finiranno? Credete che smetteranno di costruire centri commerciali? Pensate veramente che da domani mattina il mondo sarà meno ipocrita e meschino di come lo conoscete oggi? E toglietevi quel cazzo di sorriso dalla faccia che mi avete già rovinato la giornata.

3 giugno 2011

ciò che non si vede

E' arrivata con un maglione sformato, rosso, uno di quegli indumenti che ti metti quando sei a casa, in divano. Portava dei pantaloni della tuta. E' stato un brivido pensare che solamente credesse d'avere la confidenza per potersi vestire così con me. Era meglio di vederla in ghingheri, o nuda, o in qualsiasi altro modo. Mi sentivo a casa, con lei, seduti nell'intimità delle nostre cose. In mondo non esisteva più. Abbiamo iniziato a camminare lungo il lato esterno del parco del centro, in senso orario. Parlavamo, e io mi sentivo sempre così terribilmente in colpa per interrompere i suoi discorsi con la mia mania di protagonismo, come se fossi sempre sul punto di doverle dimostrare che valgo, che avrebbe una buona ragione per stare con me. Al tornare nel punto in cui ci siamo incontrati abbiamo proseguito in circolo iniziando un secondo giro del parco.
Nel realizzare questa cosa mi continuavo a ripetere che se fossi riuscito a farle fare anche un terzo giro con me, sarebbe stata mia per sempre.
Al terminare il secondo giro non ho saputo resistere, come se l'idea di poterla aere fosse troppo, una vertigine incontrollabile, e sneza interpellarla ho tirato dritto, verso via Roma, verso il momento in cui l'avrei salutata per sostituirla con una dilaniante nostalgia. L'ho guardata sfilarmi lontano nella sua esile figura. Aveva la sua solita camminata di chi non ha fretta perchè non ha destinazione. Si è girata una volta, ma non per guardare me, qualcosa alla mia sinistra l'aveva attirata. Se solo sapesse che le ho regalato il dono dell'ubiquità m'insulterebbe per la carcerzazione forzata del suo doppio nel mio cuore. Se ne va ignara del sangue che verso ad ogni parola non detta, ad ogni bacio bramato ma non consumato.