31 dicembre 2010

La fine

Mi sono svegliato dopo poche ore di sonno con gli occhi fissi sul soffitto. Una malinconia ancestrale mi si è piantata nel cuore con un morso feroce, alimentato non dalla rabbia, ma dalla paura. Il mio corpo giaceva sotto uno stato di ipnosi e di paralisi fisica. Un unico pensiero girava in loop nella mia mente: era un rifiuto della realtà. Un rifiuto totale, assoluto, da fine del mondo, non da fine dell'anno.
La vita è ciclica, è nel suo essere: morire e rinascere. All'inverno segue sempre la primavera. Ma uno stesso essere non sopravvive mai a se stesso. Per saperlo fare bisogna essere uno di quelli che ti fa gli auguri di buon anno. Pensando che lo scoccare della mezzanotte possa davvero segnare uno spartiacque, cambiando un'esistenza che si trascina senza più nemmeno dignità. Non leggo più, non scrivo quasi più, mi limito a percepirmi e a detestarmi per le illusioni in cui ho creduto, ma ancor più per quelle in cui ancora spero. Forse solo l'amore è quella droga in grado di regalarti la parvenza dell'infinito. Due destini che si uniscono per sempre, anche dopo le loro stesse esistenze. Ciò funziona solo se si ha amato una volta sola nella vita. Già dalla seconda, non esiste più nulla.

30 dicembre 2010

la cuccia

Guaio in questi giorni se l'è passata un po' male la sera. La routine natalizia sta avendo qualche strascico pericoloso nelle mie serate alcoliche. Il freddo la sera si sta facendo di nuovo pungente, e ore che mi trovo a casa dei miei con giardino e compagnia bella, Guaio se la passa alla ghiacciaia mentre io bagordo in giro. Il patto è che lui sopporta la sera e io mi sdebito con un bagno di due ore al mare (pure con sto cazzo di freddo) nel pomeriggio.
Così ieri, per appianare i miei sensi di colpa da padre irresponsabile, gli ho comperato una cuccia in legno. L'ho parcheggiata giusto fuori la porta di casa. Domani dovrei mettergli il cartello con il suo nome sopra. Mentre la montavo mia madre mi scrutava tra l'incuriosito e l'inquisitore. Stavo invadendo uno spazio del suo territorio, e la cosa sembrava infastidirla. Poter mettere la cuccia del piccolo è stata una concessione, non un trionfo. Guaio ha subito gradito, l'ha pure personalizzata mordendo la porta d'ingresso. Wild la vuole. Dall'altro lato sembrava chiedersi perchè dessi segni di sedentarietà quando non riesco a stare fermo più di tanto da nessuna parte. Soprattutto nella casa al mare dei miei. Questo aspetto della faccenda mi ha intimorito alquanto, aprendo una voragine con un grosso punto interrogativo, puntato dritto verso il domani. L'unica cosa che potevo pensare era "devo andarmene, andare avanti con la merda di romanzo che sto scrivendo (e che non avrà mai l'onore d'essere pubblicato), ma soprattutto trovarmi un lavoro". Sto bighellonando come un rassegnato. Un condannato ad una pena che si sconterà si spera tra molto tempo, ma il cui timore ha già impatti sul presente.
Sta sera ho cenato con amici. Dovevo reagire. Fare cose normalmente mi fa sentire una persona meno frustrata. In più ho tempo da perdere. Gioia ci ha messo 36 ore a rispondere al mio messaggio. Sto cercando di maturare una risposta che arrivi direttamente al dunque: vederci. In realtà è infantile il modo con cui uso questo principio di quella che ha tutte le carte in regola per essere una storia d'amore da quattro soldi per occuparmi il tempo. Soprattutto quando guido. Il profilo greco di Gioia mi ossessiona costruendoci attorno tutto un contorno di forme. È il pensiero del guidatore solitario.
La cena è stata tutta a base di tartufo, giusto per livellare ulteriormente le entrate finanziarie natalizie. I ragazzi continuavano a parlare da intenditori culinari delle proprietà dei migliori tartufi bianchi d'Alba. In realtà non me ne fregava un cazzo di cosa si stesse parlando. L'unica cosa che mi salvava era stare la, mangiando e bevendo come un processo di socializzazione meccanico. Solo quando, sulla finestra, mi sono fumato una sigaretta, ho capito che era tutto regolare, che c'era l'assenza di sofferenza, comunemente definità felicità. Le chiacchiere di sottofondo mi hanno riportato a quando ero bambino,  il soggiorno pieno di rumori e di gente, e io in un angolo a giocare con le macchinine. Ora ammazzerei metà della gente di quei bei ricordi, ma ho sorriso, perchè per quel bambino li quei ricordi sono felici.
Sta sera scrivo a Gioia, mi sono convinto. Glielo devo far capire che non si può sprecare vita in tributi alla gente. Anche perchè è tutto così noioso sennò. È tutto così terribilmente piatto da assumere le sembianze di una tortura a lungo andare. E più vado in questa direzione, e più desidero con tutto il cuore che qualcuno mi regali una cuccia di legno, dove potermi mettere dentro nelle fredde sere di solitudine, per scaldarmi un po' il cuore. 

26 dicembre 2010

abbuffata

Ho conosciuto Lara per caso. Qualcuno ha cercato di accorciare la mia vita spaccando la vetrata della biblioteca dove ogni tanto vado in cerca di un po' di conentrazione. Ricordo solo le mie urla smorzate che offendevano più per la qualità delle parole che per il tono della voce. Volevo che quella mandria di ubriaconi se ne andasse presto con quelle trombette da ultras repressi che non aspettano altro che la domenica per sfogare istinti selvaggi. Poi il vetro che viene giù, e Lara che mi chiede se sto bene.
L'avevo notata più per la sua amica che per la sua appariscenza. Le ho parlato perchè forse mi avrebbe potuto condurre a quegli occhi che prima, per qualche mezz'ora, m'hanno fatto capire perchè mi trovavo li in quel momento.
La mia socievolezza è uno strumento a doppio taglio: da un lato concordo per una cena con lei e la sua amica, di cui scopro il nome arrampicandomi su appigli, dall'altro sento inevitabile ferire Lara. Le ho fatto credere che le mie attenzioni siano rivolte a lei invece sono per Gioia, e solo per Gioia.
L'indomani porto un amico a cena, devo reggere lo scontro con parità numeriche. Devo complessificare il gioco per essere certo di rubare attimi di conversazione a Gioia, sguardi, qualsiasi cosa mi faccia credere ci sia un senso per essere seduto a quel tavolo. Il mio amico ingurgita cibo e vino, tutti fanno lo stesso con una meccanicità quasi androide. Percepisco impacciato ogni mio gesto consuetudinario, il solo cibarmi mi fa percepire come sgraziato, smodato, scassato, di troppo. Gioia mi osserva a tratti, lo stomaco si chiude e il vino è l'unico a riuscire a vincere l'assesio al mio stomaco. Il resto lo racconta l'alcool. Le chiacchiere di politica, di società, di letteratura, di microbiologia, di tutto quello che di inutile c'è nella vita, si sono snocciolate mentre io facevo il tifo per me. Come in un arringa da tribunale sentivo di difendere un cliente colpevole, o quantomeno estraneo ai fatti. Il gioco della seduzione sa divenire così penoso a volte, che se solo quel profilo greco non fosse stato li a sfidarmi, mi sarei chiuso in me stesso fino a sparire nel nulla.
Al momento del conto prendo Gioia per un braccio e la tiro verso la bici. Do al mio amico istruzioni per portare Lara a casa mia, senza fretta, e di cercare di "tenerle compagnia". Gioia intuisce questo scacco alla situazione, ma fa gran poco per fermare il mio piano.
"Ancora un minuto di finzione e muoio davanti ai tuoi occhi" le ho detto con charm alcolico.
Gioia sale sul manubrio della bici e non fiata. S'è trasformata in spettatore inerme di fronte a quello che potrebbe, senza eccesivi problemi, essere il più terribile dei carnefici: io. Pedalo in bilico, alitandole sul collo la fatica della salita. Poi il fiato si fa tocco, e poi bacio. Chiudo gli occhi senza curarmi degli ostacoli, della vita. Tutto sta in quell'odore che mi sta salvando da me stesso. Sono un umano su una bici in un pianeta di extraterrestri, la rivincita per i fan alieni di Steven Spielberg. Gioia si stringe sul collo premendomi in un guancia a guancia.
"Non posso" dice poi secca. "Lara non me lo perdonerebbe".
E l'inferno è tornato attorno a me, in un lampo, dopo una tregua così breve da far solo presagire ciò che normalmente si intende per vita. L'incubo si sussegue in tutti i convenevoli da quel momento ai saluti. Lara fugge il mio sguardo. Ma io penso solo a non isolarmi troppo dal presente. Se solo la gente sapesse con quanta facilità si può trasformare un inferno in paradiso (e viceversa) non userebbe più negazioni nella propria vita. Appena se n'è andata ho percepito densa la situazione con il mio amico. Mi solo limitato a sopportarmi nuovamente in questo rumore assordante che è la solitudine.

24 dicembre 2010

Tanti Auguri Gesù Cristo

Finalmente è arrivato Natale. Dico finalmente non perchè lo stessi aspettando con ansia, voglio solo che passi presto, subito. La fantasmagorica storia di Gesù Cristo vale solo fino ai 10 anni, momento in cui si dovrebbe smettere di credere tanto a Superman quanto a tutti quei finti supereroi che trasformano la realtà in qualcosa di spettacolare. Uno è finito in sedia a rotelle, l'altro su una croce.
Mancano ancora poche ore, e il delirio consumista sta vivendo in questi momenti una cristallizzazione senza precedenti. Carte di credito sventolate in aria come se fossero vangeli, pacchi regali come fossero scuse, o miracoli. Come possa una società perdurare nell'errore dipingendo con tonalità cromatiche rosso-bianche la più grande delle ipocrisie è indigeribile, come la cena che tra poco mangerò tra sconosciuti che fingono, con sforzo sovraumano, d'essere un distillato di felicità, altruismo e sacralità.
C'ho messo più di due ore a fare la strada che normalmente percorro in poco meno di una. Tutti con il piede pronto sul freno, sempre in concomittanza con un negozio illuminato, con un'illusione pronta per l'uso. La chiesa dispensa le sue migliori parole, dalla radio, dalla televisione, dal pulpito di quelle chiese gremite solo in questa notte, in cui tutti ancora una volta decidono di mandare avanti questa farsa tra strette di mano nascoste tra i banchi di legno di mogano.
Alla cena io porto il vino, ho scelto io questo compito, solo perchè volevo essere certo non mancasse, non finisse nel momento più delicato, quello in cui ci si scambierà i regali. Non ne ho fatto nessuno, a nessuno, avrò solo una faccia perplessa, un sorriso codardo, e mani vuote da offrire in cambio di oggetti, pacchetti e fiocchetti. Gli occhi giudici saranno il mio martirio, i miei occhi chiederanno solamente pietà.
Mi sento perennemente come se fossi su un marciapiede di una città affollata. Li impalato sotto un lampione a fumare sigarette, mentre osservo un tavolo di ristorante pieno di luci e sorrisi. Vorrei toccarlo, ma il vetro di mezzo divide chi come me sta sotto lo zero, e chi dentro si aggira in camicia scollata, cravatta rossa e cappellino in testa.
È una prigione di preconcetti, di solitudini celate, di ipocrisia servita ad ogni portata, dall'antipasto al dessert, passando per quel caviale che nessuno si può permettere, ma che abbonda in ogni tavola italiana che si rispetti. Creanza: è una farsa, un muro amuffito ridipinto di bianco, è un giocattolo cinese di bassa fattura, un "piacere di conoscerti" quando non c'è piacere. Muoio tra le urla di mia madre isterica che mi informa che è già tardi. Ma un condannato ha tutto il diritto di prolungare la sua agonia se quello che troverà fuori dalla cella è solo la morte.
È il compleanno di un uomo morto, di un'idea morta che vive solo nei bei discorsi trasmessi alle 10 di mattina su rai uno, un'idea morta che rieccheggia nelle pantofole di ermellino portate ai piedi da chi si ostina a sostenere d'avere un telefono rosso in collegamento diretto con Dio. Se Gesù Cristo fosse qui in questo momento cagherebbe in testa a tutti i cristiani, dopo averli presi per le orecchie uno per uno, urlandogli addosso quanto sia stato frainteso. Caro Gesù, mettiti in fila, perchè come te, il mondo è pieno di incompresi, pure meno ciarlatani.
Babbo Natale, in arte Coca Cola Man, ha già il Chayenne turbo diesel da 500 renne che si scalda in garage, è tutto pronto, il GPS ha tracciato la rotta dopo essere stata impostata su: strada a percorrenza rapida, fermata solo in case con camino e 740 a 6 cifre, evitare il sud del mondo per il pericolo del triangolo delle Bermuda. Il sindacalista degli elfi ha firmato un contratto con il nostro presidente del consiglio, 500 euro al mese senza contributi. La tredicesima non conta per chi vive in lapponia dove è dicembre tutto l'anno.
Buon Vaffanculo Natale a tutti.

15 dicembre 2010

il topo



Gli ultimi due mesi, se non fosse per l'intensificarsi del freddo, mi sembrano essere stati un giorno solo. Un giorno che si ripete in continuazione come un brutto sogno dal quale si cerca disperatamente di uscirne, svegliandosi. Mi sembrava d'essere il protagonista del film Ricomincio da capo con Bill Murray (rifatto uguale da Albanese nel film È già ieri). Ogni mattina la stessa sensazione di chi si sente perso in un labirinto, di chi con coraggio e ostinazione e ferocia decide di uscire dal letto per dare un'altra possibilità a questo mondo infame, un mondo in cui non trovo posto.
L'unica cosa che mi tiene attaccato alla realtà, la mia realtà, sono le letture che fagocito voracemente. In quei libri vedo ciò che sono il mio mondo, mi sento sicuro, tranquillo, compreso. Il mondo che si trova fuori dalla porta di casa invece non lo capisco più. Quello che prima era per me il più grande parco giochi che avessi mai visto ha iniziato a trasformarsi in un parco degli orrori. Prima era indifferenza, poi diffidenza, ora mi ci trovo immerso dentro come una prigione. Diana diceva di sentirsi come un topo dentro una scatola di cartone, la cui esistenza è perennemente tormentata dal grosso dito di un umano che con curiosità stuzzica il topo senza scampo. Credo la sua metafora renda l'idea benissimo da non dovermi costringere a cercare altre parole. Il mondo mi assedia fuori da queste mura, mi insulta, mi demoralizza, e man mano che i miei occhi si fanno più precisi definisco sfumature dai caratteri raccapriccianti.
Tra poco dovrò uscire, la città si prepara al fottuto natale, con le luci, i mercatini, i manifesti colorati per la città che urlano come un gruppo di studenti ubriachi: sei quello che hai. E tutti, ripeto, tutti, sono così fottutamente tranquilli.

14 dicembre 2010

2 Euro

Stavo passando da un libro ad un altro. Da Schopenhauer a Mordecai Richler, da Orwell a Pavese. Cercavo senza sosta un appiglio, un qualcosa che mi tenesse a galla in quel divano che fagocitava il mio essere. Sono sempre sul punto di gettarmi in strada per disperazione, ma ogni volta che varco quella soglia mi ricordo perchè sto rifiutando il mondo.
Mi chiama un amico una volta. Non rispondo. Richiama dopo qualche minuto. Rispondo dopo  una decina di squilli durante i quali mi chiedevo cosa ci fosse di tanto urgente.
"Ci stiamo trovando a bere una cosa in centro, vieni?"
"No grazie preferisco stare a casa, ho un sacco di cose da fare" mento.
Mezz'ora dopo sono in piazza con una birra in mano. Gli amici s'erano dati da fare, avevano chiamato molta più gente di quanta m'aspettassi. Hanno deciso di fare una cena itinerante. Ogni bar una birra e uno stuzzichino. Riesco a resistere perchè ad ogni spostamento la fuga dalle chiacchiere inutili è più facile. Le birre si decuplicano e la mia socievolezza si trasforma in una sorta di cinismo tale da rendere gli altri refrattari al mio umore. Prima li evitavo io, ora sono loro impauriti da me.
Ad un certo punto, mentre me ne sto da solo a ordinare l'ennesima birra, mi si avvicina una ragazza. Era l'amica di un'amica uscita con noi per via di un amico.
"Che fai qui tutto solo?" chiede.
"Mi diverto a parlare con il bancone del bar"
"È interessante?"
"Se fosse interessante mi sarei messo un bancone da bar a casa. È simpatico".
"Ti posso offrire una birra?"
"Come hai detto che ti chiami?"
"Non te l'ho detto, mi chiamo Roberta".
Sforzo un sorriso per essere sincero di riscattare la mia birra, poi traballo a causa di quelle già bevute. L'occhio mi cade prima nella sua scollatura, lei mi fissa e io abbasso lo sguardo. Mi stupisco nel vedere sul pavimento una moneta da 2 euro. Mi abbasso cercando di mantenermi in equilibrio, raccolgo la moneta e la poso sul bancone.
"Hai visto? Questa è la fortuna".
Lei sorride senza dire nulla. In quel momento passa la barista, si avvicina a noi, ci scruta e si accorge dei due euro appoggiati sopra al bancone.
"Di chi sono?" chiede sperando siano una mancia.
"Sono nostri" rispondo io biascicando, ma tra la confusione deve aver capito "non sono nostri" perchè subito li raccoglie e senza che io riesca davvero ad intervenire lei li mette nella cassa delle mance. Roberta mi guarda e ride con uno sfottò che non gradisco.
"La vita è così, ti arriva una sorpresa, e subito si rivela essere una fregatura" dico sommesso.
"Non essere tragico" mi incoraggia lei. "Poi il mio oroscopo dice che oggi avrei conosciuto qualcuno di interessante, magari sei proprio tu".
"Io non credo all'oroscopo" sentenzio.
"Io si, quello di Vanity Fair ci azzecca".
"Ti piace Vanity Fair?"
"Lo adoro".
"Ecco appunto, la vita è proprio così, ti arriva una sorpresa, e subito si rivela essere una fregatura".

10 dicembre 2010

punk

Come al solito sono indietro con i miei progetti. Perdo troppo tempo nel mio mondo che mi accorgo della realtà solo quando bussano alla porta.
"Dobbiamo trovarci per quell'incontro. Dobbiamo preparare il materiale"
"Quando scusa?"
"Oggi, alle 14. Cazzo non ti ricordi, l'hai pure organizzato tu!"
Trampoleggio tra scuse momentanee e faccio mente locale. Ok, il mio pomeriggio sarà caratterizzato da nubi di fumo sparse, chiacchiere inutili e precipitazioni di imprecazioni. Pianura in Padania. Guaio mi guarda con la pallina in bocca. Con sta cazzo di pioggia incessante preferirei di più portare fuori lui piuttosto che vedermi con il gruppo di lavoro.
La vita di un puntuale è un inferno di immeritate attese (diceva un saggio). La panchina di marmo sotto il culo mi stava gelando le chiappe. La seconda sigaretta di fila stava terminando il che mi dava da pensare che l'unico fesso ad essere arrivato puntuale ero io. Lasciamo perdere. Quando la fottuta compagnia dell'anello s'è finalmente riunita con tutti i convenevoli, si opta per anare a discutere in un bar. Perlomeno le vie di fuga sono multiple, penso.
Inizia Alba con le sue paturnie e sottigliezze a rompere il ghiaccio. Quattro estranei messi ad un tavolo di un bar per organizzare un progetto non è proprio il massimo della serietà, ma considerando l'apporto che posso dare io, sono certamente caduti peggio loro. Era Marisa quella che in realtà stava rendendo piacevole la mia permanenza nel club del "non centriamo un cazzo l'uno con l'altro". Un tipico caratterino del sud, tutto pepe e quel po' di malizia e intelligenza che prontamente si manifestava con la giusta espressione nel viso. Ad ogni cazzata volava un ghigno, ad ogni mia battuta una risata. Visto che solitamente accade il contrario, posso già considerarla nelle mie grazie per essere l'unico pubblico non pagante a cui piace la mia performance del giorno. Ha il culo un po' largo in realtà, ma visto che le modelle ultimamente non arrivano a toccare le lenzuola del mio letto che già mi sono stufato di starle a sentire, non mi posso lamentare. E poi diciamocelo: il culo piace bello rotondo. Non mi sono mai fidato di quelli che le vogliono magro-rivista. Non capisco mai se siano troppo proiettati nel futuro e perciò impauriti di risvegliarsi un giorno con una balena nel letto (ma così caro mio ti fai troppe paranaie, e non ti godi il morbido presente); oppure se sia la fobia di ritrovarsi tra le mani una tipa con troppo carattere (perchè avere culo da carattere), e perciò deviano su qualcuna fisicamente meno prestante che non lo meni per le cazzate da Men's Health che dice.
Ma il non plus ultra della gamma dei presenti era lui, il punkettone di turno. Era perennemente astratto al di sopra delle chiacchiere di Alba sul perchè gli asili nido oggi si debbano chiamare scuole d'infanzia. Ascoltava la musica di sottofondo che diffondevano due piccole casse sul soffitto del bar. Canticchiava incompreso il motivetto del momento mandato on air da quella che mi sembrava essere Radio Deejay (o Radio Maria, che come dice Luttazzi è la stessa cosa). Elenco delle cose da punk che indossava: maglietta nera con scritta bianca "I LOVE PUNK"; giubbetto in Jeans senza maniche indossato sopra piumino Skinhead con catene che fuoriusciavano dalle tasche; capello all'insù alla Elvis; quattro fascette ai polsi degli ultimi rave party della stagione autunnale; stivalozzo imponente (ma non troppo perchè sennò poi mamma si lamenta); Jeans largocci sui fianchi che driblavano su un culo enorme (all'uomo però il culo non glielo si perdona eh).
C'è stato solo un breve scambio di battute tra me e lui, verso la fine dell'incontro, quando ormai aveva deciso tutto Alba con un mio assenso quando mi è stato offerto il bassissimo, umilissimo e accettabilissimo lavoro di scriba.
"Un negroni" ordina di sfuggita al barista di passaggio.
"Ma sono le due del pomeriggio" rimprovera Alba.
"Portane due" gli faccio eco puntando su un falso gesto di solidarietà. In fondo se potevo dare fastidio in qualche modo alla pedanteria di Alba mi sarei fatto baciare da uno scimpanzé.
Marisa ride. E brava Marisa. Vuoi venire a casa mia domani Marisa? Voglio che non ti senta male se ti ho guardato il culo prima mentre camminavi Marisa. Voglio che tu sappia che lo guardavo perchè mi piace, il tuo culo, Marisa.
Preso da una confidenza improvvisa, rompendo il mio flusso erotico nei confronti di Marisa, il punk inizia a parlarmi dell'ultimo film horror che è andato a vedere. Dice che è una bomba, che persino la sua ragazza (in quel momento a casa a pulire le pallottole da indossare al prossimo concerto) ne era entusiasta. I suoi modi espressivi, tipici delle popolazioni autoctone che vivono queste terre, rendevano quasi ipnotica la tesi da lui sostenuta che il genere horror sia un genere sottovalutato.
"Ma prima stavi canticchiando Bob Marley?" lo interrompo.
"Si, mi piace il reggae quando sono in compagnia. Da pace"
"E tu saresti punk?"
"Perchè, uno può essere punk solo se ascolta i NOFX"
"No, io sono molto più punk di te, e non ascolto ne l'uno ne l'altro".
"Anche tu punk?" mi dice con un sorriso ebete.
Evito di rispondere perchè non scatti la rissa. Ma quello che ho pensato (in esclusiva per voi) lo posso dire: "brutto figlio di puttana, che cazzo pensi, che bisogna andare in giro con una cresta in testa ascoltando gli Iron Maiden per essere punk? Tu che vieni a fare i gruppi di lavoro perchè te l'ha detto papà, e poi vai ai giardini a fumarti le canne con i tuoi amichetti, approfittando delle occupazioni delle università per andare a vedere se c'è figa, girando per strada intimorendo le vecchiette con falsa irriverenza, falso senso dell'anarchia, controllando sul cellulare touch screen se qualcuno ti ha scritto su Facebook, fingendo di cantare in un gruppo metal, senza nemmeno essere in grado di comporre un testo in italiano.. mi fermo. Ma tu? Credi davvero di essere punk? Qui l'unico cazzo di punk in tutta sta cazzo di città sono io. Tutti gli altri, cresta o meno, siete benpensanti".
Ho preso il numero di Marisa e me ne sono andato.

8 dicembre 2010

Eravamo 4 amici al bar.

Continua a piovere da un fottuto mese. Piove fuori e dentro, e i rumori ovattati senza cielo mi fanno sentire dentro una scatola di cartone. Non posso sapere cosa ci sia al di fuori, ma certo è che qui dentro siamo in troppi.
Si è stabilito che la cena verrà fatta in taverna da me. O meglio non si è deciso proprio un cazzo. Ieri mattina mi sono venuti a comunicare che avremmo cenato da me. Punto. Tu accendi il fuoco che noi portiamo da mangiare. Dai che ci vuole una bella rimpatriata. Se lo dite voi. L'assenza della mia ombra, che sotto questo cielo plumbeo ha colto l'occasione per darsela a gambe levate, fa si che il mio assecondare gli eventi sia più fluido. Nulla oppone resistenza. Accetto per disperazione tutto ciò che arriva, perchè il rifiuto non mi ha portato da nessuna parte.
Poi d'improvviso mi ridesto dentro ad una situazione e ciò che prima accadeva, ora gratta sulle pareti della mia anima, che silenziosa geme di dolore.
Eravamo 4 amici, compagni d'avventure, sventure. Abbiamo condiviso letti, pasti, donne, viaggi, noia, euforia, droga, alcool, liti, crisi, e chi più ne ha più ne metta. Ma eravamo solo un branco.
Il vino mi ha confuso ancor più la mente, mentre si parlava. Il fuoco scoppiava nel camino. Ognuno aveva qualcosa da dire, da raccontare. Io stesso credo d'aver intrattenuto conversazioni spicce. Di queste, in nessuna ho mai partecipato presenziando con la mia anima. Erano solo suoni, parole vuote messe li nell'aria per riempire quel vuoto e quella solitudine che io vedevo così chiaramente tra noi, mentre tutti gli altri fingevano divertirsi.
Eravamo 4 amici, ora eravamo 4 estranei che il tempo ha plasmato in modi differenti. Sento così teso il filo che ci lega nel passato che più volte sono stato sul punto di far esplodere il presente.
"Ti ricordi quella volta che.."
Si che me la ricordo, me la ricordo perchè c'ero, me la ricordo perchè ogni volta che ci si rivede torna fuori. Me la ricordo perchè è una fetta della mia vita che è passata, e che mai più tornerà. Le voci continuavano a volteggiare nell'aria, e io in mezzo sapevo ora incastrarci solo del fumo. La mia bocca annuiva senza intendere, il mio essere in apnea, sognando d'essere altrove. Che importa sapere dove si vorrebbe essere (non che non sia un vantaggio avere una meta), ma qui l'importante è ancora saper sognare, perchè senza i sogni siamo solo un comodino, o una sedia.
Guardavo negli occhi i miei amici, e più volte, davvero, sono stato sul punto di sbottare. Volevo supplicarli, implorarli che smettessero con la farsa, con il teatrino. Avrei solo voluto che smettessero di dire cazzate, che ci guardassimo negli occhi, senza dire nulla. A volte è più intenso un silenzio di mille discorsi. In fondo cosa vuoi che abbiano da dirsi 4 amici quando non hanno più nulla da creare, ma solo un passato da rievocare.

5 dicembre 2010

Ultimo tango a Parigi

Quand'ero piccolo ho intrattenuto una relazione strana. Nel pieno della mia adolescenza ho ricevuto inaspettatamente una lettera di un'ammiratrice: si chiamava Lucia. Profumava di cose che non si potevano dire, lasciando un universo di fantasie a giocare nella mia mente. Usava la carta da lettere di Snoopy, io l'adoravo. Preso dalla curiosità ho trovato il modo di rispondere alle lusinghe che mi venivano fatte, trovando un modo clandestino per recapitare i miei messaggi alla giovane mittente sconosciuta.
Non ricordo con precisione quanto tempo sia durato lo scambio di lettere, ma ciò che non scorderò mai era la passione sfrenata con la quale aspettavo l'arrivo della missiva successiva. Ogni giorno di ritardo era un incubo, ogni altra lettera che non fosse sua una tortura. La mano tremava mentre scrivevo, e accumulavo brutte copie su brutte copie. Credevo che le poste italiane avessero dovuto lavorare solo per noi due, in nome del sentimento che mi muoveva. Tutto ciò che sapevo di lei era un nome, e un profumo (probabilmente della madre vista l'età) con cui farciva le buste e il contenuto.
Credo d'averci fatto l'amore con quella penna e quei fogli. Avevo impegnato la mia anima ancora prima di sapere nulla dell'altra persona. Qualcuno mi amava, e non poteva esserci nulla di corruttibile in ciò che accadeva.
Ieri ho parlato con un'amica di Ultimo Tango a Parigi. In realtà ciò che avevo in mente era un lungo monologo sul perchè Marlon Brando fosse il più grande attore di tutti i tempi. Ma non le ho detto questo. Lei sosteneva che il film fosse un po' troppo forzato, poco realista, pretenzioso forse. Ho sentito una fitta al cuore, una fitta come quando ho realizzato che non stavo più aspettando le lettere di Lucia. Le ho spiegato di come per me il film non fosse altro che la più incredibile metafora dell'amore, di come esso funzioni basandosi sul presupposto che ci si conosca, quando invece siamo tutti dei perfetti sconosciuti. Ho sottolineato il fatto di come la passione non chieda altro che un nome, per potersi torturare di notte, nell'attesa di poter esplodere nuovamente. Sommesso poi ho dichiarato che sempre, e dico sempre, quando si arriva a sapere troppo sull'altro, la magia finisce, la passione si cerca nuovi adepti, e le illusioni vanno rifondate. Tutto il lavoro è buttato a mare, e ci si ritrova nudi, senza nulla in mano, come alla fine di un sogno. Forse c'era un po' di tristezza nei miei occhi quando ho sentenziato che le uniche due vie d'uscita da questo gioco sono l'incubo dell'abbandono (nel nostro caso la morte del povero Marlon), e la vergogna per esser scappati via (quella di Jeanne - Maria Schneider).
C'è stato un attimo di silenzio prima che la conversazione riprendesse con consuetudine. In quella frazione di secondo ho capito perchè non avevo più risposto a Lucia.
L'estate tra la fine delle medie e l'inizio del liceo m'aveva cambiato profondamente. Al posto delle lettere c'erno baci e voglie diverse, ma soprattutto, avevo scoperto chi era Lucia. Non so quanto tempo ci sia voluto prima che smettesse di guardare la buca delle lettere; prima di rassegnarsi al fatto che non le avrei più scritto. Mi sarebbe solo piaciuto dirle che non era colpa sua. L'amore è una grande illusione, quando i dettagli che si hanno della realtà si discostano troppo dalla nostra illusione non finiamo mai per accettare la realtà, ma solo per cercare la nostra illusione da qualche parte.
Dopo le chiacchiere sul film la mia amica ed io abbiamo finito la birra e siamo usciti a fumare. La guardavo nel suo essere, e sentivo che le mie parole (forse incosciamente) la dovevano aver toccata. Aveva gli occhi spersi almeno quanto i miei. Rideva di disperazione, come qualcuno che darebbe la vita per un po' di quella droga, di quella passione. Anche io avrei voluto avere indietro la mia Lucia. Mentre fumavo la mia mente aveva già iniziato a vacillare nel baratro del vuoto che mi porto dentro. Prima che si spegnessero le luci della ragione ho fatto l'unica cosa che sapevo avrebbe fatto bene a tutti e due: l'ho abbracciata.
"Siamo due solitudini ferocemente a caccia di fuoco" le ho detto.
Poi ognuno ha continuato per la sua strada.

3 dicembre 2010

Il Padrino

Mi arriva un messaggio mentre sto guardando un film (Aprile, di Nanni Moretti): "ho voglia di te, ora!". Una vecchia amica stava chiedendo un servigio sessuale. Per qualche tempo sono stato una mezza puttana agratis per amiche solitarie come me.
Esco di casa senza nemmeno pensare al perchè mi stessi recando a casa di Michela, era un bel po' che non si faceva sentire, aveva smesso di scrivere quando aveva trovato un'illusione amorosa in cui credere. Probabilmente le cose devono essere andate male, e aveva bisogno di dimenticare il prima possibile. Ma queste cose non si dicono in queste circostanze. Niente domande, e la cosa funziona.
C'era una nebbia fottuta, di quelle che ti bagnano l'anima fino nel profondo. Mi sono girato una sigaretta per il tragitto e ho spento la mente. Mi muovevo come un sicario che deve fare un lavoro sporco, ma che tutto sommato è il suo mestiere. Se il tragitto per arrivare a casa sua fosse stato più breve probailmente la transazione si sarebbe conclusa senza strascichi. Invece i miei passi e il deserto di nebbia che mi avvolgeva hanno amplificato il silenzio che sentivo dentro. I miei pensieri sono andati in molte direzioni, tutte inerenti al mio destino, così fottutamente lasciato in mano alle circostanze, senza che io potessi o volessi prendere parte. Uno spettatore inerme.
L'ho presa larga, girando per le piazze del centro, cercando per quanto possibile di lasciarmi il tempo di capire perchè stessi andando in quella direzione.
Voltato l'angolo per una delle vie del centro un suono di tromba mi ha riempito l'udito in un crescendo lento, malinconico. Ancora lui, quel trombettista solitario che già una volta mi aveva salvato la vita. Era tardi, non c'era nemmeno un anima in giro. Solo io e il suono di quella tromba. Stava suonando la colonna sonora de Il Padrino. Ho seguito la melodia come Guaio segue l'odore di cibo. Mi muovevo lento nella nebbia, come se non avessi voluto rompere l'incanto nostalgico di quell'atmosfera. Michela probabilmente si stava chiedendo perchè non fossi già arrivato. Me la immaginavo affacendata a sistemare casa, a profumare il suo corpo, a rendere tutto meno triste, meno decadente. Ha due occhi che implorano attenzione Michela, un corpo che chiede d'essere toccato come uno strumento.
Intanto avevo individuato il punto esatto in cui s'era sistemato il trombettista. Mi sono tenuto a debita distanza. Non volevo che mi vedesse. Non volevo che smettesse. Mi sono seduto a pochi passi da lui, nascosto da un muretto e dalla nebbia. Mi sono acceso una sigaretta.
I pensieri si sono decuplicati nella mia testa fino a riempirla in modo ingestibile. La malinconia m'è salita fino agli occhi, traboccando piano, rigandomi la faccia già umida.
Ho guardato il cellulare, un messaggio indagava sulle mie coordinate.
Ho tentennato un po' prima di rispondere. Sapevo che un giorno mi sarei pentito di ciò che stavo per scrivere, ma in quel momento non avevo altra scelta.
"Mi spiace, mi sono perso. Credo non verrò più sta sera. Credo non verrò mai più a trovarti. Mi spiace, ma devi cavartela da sola". Il sesso fatto così è un'inutile scambio di liquidi. Un'azione da etologi, da national geographic, fa film porno.
Non ci riesco più, credo, a fingere.
C'era solo quella tromba nella mia mente dopo aver premuto invio, e il rimpianto di non aver portato Guaio con me. Ho fumato fino a sentir male ai polmoni. Poi mi sono sentito sporco dentro, ma sollevato di non dover inventare parole inutili dopo un atto di sfogo. Sono tornato a casa e mi sono messo a letto. Guaio si lamentava, voleva uscire.
"Buono piccolo" gli ho detto, "buono piccolo, che fuori è un brutto mondo". Poi ho spento la luce.

2 dicembre 2010

Virus

Per comprendere questo post sarebbe meglio leggersi quello precedente prima. Lo dico perchè si può comprendere pure il motivo per cui nella stessa notte sono arrivato a scrivere due post di fila. Non è perchè non mi passa un cazzo. Letto? Bene. Questo è quanto accaduto nel lasso di tempo tra il "fai come fossi a casa tua" e il mio rientro barcollante di mezz'ora fa.
Scappato via di casa mi sono limitato a girovagare per la città con Guaio che si fermava ad annusare ogni pisciata. Lo osservavo nel suo interesse sfrenato per le urine altrui, ma mi limitavo a crogiolarmi nell'inadeguatezza che m'era rimasta addosso dalla situazione appena lasciata. Stavo respirando libertà, aria pulita, fumo di sigaretta. Ho passeggiato in mezzo agli urlanti (è come chiamo tra me e me gli studenti universitari under 25, quelli sopra li chiamo i disadattati*) per una mezz'ora buona. Li osservavo accuratamente. Il primo pensiero mi spingeva a usare il mio trasformismo per intrufolarmi tra All-Stars e zainetti cercando di fare incetta di ventenni. É un numero che mi riesce quasi una volta su tre (oh, intendo servizio completo eh!), ma quando mi trovavo a distanza-orecchio i miei passi si dirigevano automaticamente nella direzione contraria. È più forte di me, ultimamente la mia mente non mi permette nemmeno più di fare sesso senza essere disturbato. Urli, Facebook, Cellulari, TV, e quando si arriva alle sigle dei cartoni animati è troppo. Chissà se i ragazzi che sprecano tutti quei fenormoni per inesperienza realizzeranno mai che quelle tipe li non se le scoperanno mai. Quelle son donne da maritare, con dote a carico. Le scopate se le vanno a fare a Mikonos mentre sono studentesse, a Santo Domingo da lavoratrici. In Italia c'è il vaticano, la famiglia e la reputazione. All'estero 20 cm di cazzo gratis (30 a pagamento).
Devo essere parecchio ubriaco perchè ho già scritto due post e manco sono arrivato a dove volevo. Ci arrivo ora: tra una birra e l'altra (rigorosamente solo) mi sono imbattuto in una vecchia faccia amica, un compagno di feste quando ancora mi divertivo spensierato: ora un disadattato come me (penso). Beviamo una cosa assieme e mi dice che è di ritorno da Roma. Si sta dedicando alla scrittura a tempo pieno. ANDIAMO! Collabora per un sito di informazione letteraria. ANDIAMO! Ha conosciuto da poco un editore disposto a revisionare il libro che manca poco che finisca (a me quel manca poco dura da anni), ma comunque ANDIAMO! Sembra diventato come me: introspettivo, poco-socievole, molto-testadicazzo. ANDIAMO!
Ero quasi contento. Non mi importava nemmeno d'aver catturato l'attenzione di una fanciulla appoggiata al banco del bar. A chi interessano le donne se c'è una buona conversazione?
"Parlami del tuo libro"
"Siccome noi siamo parte di un tutto..." e già li iniziano i sudori freddi. "A un tipo vengono dati 3 mesi di vita, e lui che fino a quel momento non aveva fatto un cazzo, decide di scrivere le sue memorie. Nel percorso formativo scopre d'essere parte di un tutto con l'universo e con la natura, e intuisce che pure a lui è riservato un posto nel tutto. L'umanità si riscopre così come un unico organismo vivente tutt'uno con tutto. In parole povere un elogio all'essere umano".
"Hai mai visto matrix?"
"Si perchè?"
"Io sono dalla parte del Sig. Smith. Credo che l'uomo sia un virus su sto cazzo di pianeta. Dove arriva infetta e distrugge. Non ha il senso del limite ed è progettato per l'autodistruzione"
Gli do una pacca sulla spalla, la ragazza del bancone non c'è più. Mi accendo una sigaretta e penso solo a come occupare il tempo una volta tornato a casa.. Con due post, no?
Sono proprio ubriaco!
FRASE DEL GIORNO: meglio tenere la bocca chiusa e dare l'impressione di non sapere un cazzo piuttosto che aprirla e togliere ogni dubbio.

*Io sono uno di questi, mi sa. Ma ho una sfilza di scusanti (un po' vere, un po' inventate)

E ridaje con ste vecchie amiche.

Non so perchè, o meglio lo so ma non me lo ammetto, ma ho sempre la stramaledetta mania di ficcarmi in situazioni del cazzo. Così quando Roberta mi ha chiamato per chiedermi ospitalità le ho detto di si. Di lei si sappia solamente che è stata una vecchia fiamma di qualche anno fa. Il tempo ci ha resi abbastanza diversi da percepirci quasi degli estranei. O almeno sono io che non ritrovo in lei nulla di tutto quello che ci vedevo una volta. Forse ho perso la capacità di vederci chiaro, oppure semplicemente c'ho voluto vedere cose che in realtà non c'erano. In termini di aspettative siamo tutti sempre molto fiduciosi, sennò come fai a convincerti ad uscire di casa? Comunque sia sta sera (per la seconda volta) è venuta a casa mia. Segue un progetto "giusto a due minuti" da dove sto io. Le ho detto che poteva fermarsi, fare come se fosse stata a casa sua. Maledetto hippismo che ancora mi porto dietro. Questa sera, come l'altra, è stata estremamente ambigua. Si è stesa sul divano, ricordato i bei tempi passati assieme quando si scopava come conigli, tirato un sospiro di sollievo, e poi si è stesa con la testa sulle mie gambe, premendo (credo volontariamente) con la nuca sul mio punto debole. Visto che i suoi sproloqui sul quanto fosse entusiasta del nuovo progetto che segue li ho trovato definitivamente noiosi (con effetti pure deprimenti per uno che sta cercando da troppo tempo di combinare qualcosa senza speranza), ho pensato che almeno se avessimo scopato ci saremmo fatti un favore a vicenda: io le regalavo un orgasmo, lei stava zitta. Le ho messo una mano sulla nuca, le ho accarezzato i capelli come se provassi un vero sentimento di amicizia-fratellanza-mitrasferiscoacasatua, lei mi ha confessato d'avere sonno, e che voleva le coccole. Umiliato dal mio perbenismo ho mosso meccanicamente la mano sulla nuca sfregando come se stessi preparando un dolce leggendo un manuale di cucina. Dice che questo progetto durerà fino a marzo, tre giorni la settimana. Giuro che per marzo non resterà nulla del poco piacere che provo nel rivederla (di tanto in tanto) se crede di poter usare ancora la mia tana. Fa un po' la bimba, reggo il gioco, fa battutine al doppiosenso, reggo il gioco, spinge con sta cazzo di testa, le sorreggo un seno, mi bacia con un fervore che non avevo portato io a casa, reggo il gioco, dice che è stanca, la metto a letto e senza batter ciglio esco da questa scena che più che bucolica, dava le coliche.
"Ma mi lasci qui da sola?"
"Fai come se fossi a casa tua" ho urlato dalle scale.
Sono tornato ora, mezzo sbronzo. Lei deve svegliarsi alle 7, io per evitare intoppi ho pensato bene di fare le 4. Non si può mai sapere. Ora quella è di la che mi dorme nel letto, e io mi sento stuprato della mia intimità. Normalmente le ragazze entrano in casa mia per scopare e poi se ne vanno. Questa invece non ha consumato e si ferma. Non ci capisco un cazzo.