30 settembre 2010

Èquus= significa cavallo, non equo.

Liberté, egalité, fraternité di sti cazzi. Non ne posso più di sentire ste storie sull'uguaglianza, sul rispetto, sulla tolleranza. Non siamo tutti uguali, e questo è un dato inconfutabile. Non tutte le opinioni devono avere lo stesso peso.
"Non approvo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo" diceva Voltaire, che aveva paura di non poter limitarsi a pensare, e voleva parlare, e siccome sapeva che nessuno si sarebbe trovato d'accordo con lui, avrebbe lasciato tutti dire la propria stronzata di turno, pur di potersi liberare di ciò che aveva dentro.
Ma non siamo tutti uguali. Un fisico nucleare non se ne fa nulla dell'opinione di un bambino di 5 anni che ha un'idea sulla matematica.
Il rispetto è solo un'illusione, tutti giudichiamo nella nostra mente, tutti riconosciamo la verità e la bugia quando la incontriamo, solo che a volte vogliamo anche noi la sola possibilità di poter dire la nostra.
Per me non è così. Non ho nulla da dirti se credi che questo mondo sia rose e fiori. Non possiamo parlare io e te se non senti la tristezza e la solitudine che permea da tutti i pori, che scende dai muri di questa città così desolata. Tutto mi sembra kitch qui. Una mano di vernice bianca su di un muro ammuffito.
La parola uguaglianza contiene più speranza che senso pratico. Non siamo tutti uguali, e sbagliamo a considerarci tali. L'umanità non è qualcosa di pulito, che rispetta, è una stirpe di usurpatori, violenti, rabbiosi figli di puttana. Ognuno è disposto a uccidere per scappare dalla propria misera, e io, con le tue esortazioni ad accettare tutto indiscriminatamente mi ci pulisco il culo. La mia opinione non vale ne più ne meno di quella degli altri, finchè sarà diversa.
Ti prego, non sporcare tutto con le tue banalità, vivi, pensa, es esprimiti con il tuo cuore. Lascia i luoghi comuni a chi crede nell'uguaglianza, perchè in realtà è solo un urlo di disperazione per essere presi in considerazione.
Morirà pecora nera, penserò cose che non  condividi, e la mia opinione, sempre ti sarà ostile. Ma è per me l'unica verità. Dei dogmi ne son piene le chiese, ma mai nessun prete ha risposte adatte alle mie domande.
Morirò eretico, ma fiero di camminare sulla MIA cattiva strada.

28 settembre 2010

Una vecchia amica

Roberta mi ha chiamato. Sostiene di aver sempre continuato ad amarmi dopo che ci siamo persi di vista. Il fatto che io abbia amato lei mentre mei mi rifiutava sembra spiegare inequivocabilmente il perchè ora sia ossessionata da me.
"Ho delle lettere da darti"
"Troviamoci"
Non so se quello che mi ha spinto ad incontrarla fosse la voglia di finire un lavoro lasciato a metà oppure la filantropica mania di far tacere la sua inutile sofferenza con una scopata che le dia il contentino.
Arriva, sigaretta. Aperitivo, sigaretta. Passeggiata, sigaretta. Mentre io pensavo solo a vuotare quanto prima il mio pacchetto di sigarette lei non ha fatto altro che parlare di filosofia orientale.
"Se sapessi quanto l'India mi ha cambiata".
Io non la vedevo cambiata, se non peggiorata. Una mezza Hippie new age che si fa ore di saluto al sole nella speranza che mentre è supina qualcuno ne approfitti. Ci ho pure provato con il mio sarcasmo a renderla ridicola, ma le mie fracciatine le devono essere sembrate come una richiesta di maggiori dettagli. Si sembrava rifugiata nel suo misticismo come una monaca vogliosa può prendere i voti.
Mentre siamo a cena riscopro tutto il piacere che avevo nell'uscire con lei. Pure quel suo modo forzato di ridere a qualcosa che non faceva ridere, mi ricordava la stupidità che contraddistingue l'essere innamorato. L'ho trovato buffo più per via dell'alcool che per la voglia di fingere che un po' di empatia avrebbe agevolato l'atto sessuale. Mi faceva tenerezza tutto quello, e un po' impressione.
Lei continua ad essere bellissima, con quello sguardo penetrante e quel culo così sodo. Tra il primo e il secondo ho fumato tre sigarette mentre apprendevo i segreti del massaggio indiano e pensavo a quante volte ho sognato di scoparle il culo. Torniamo a tavola. É lei a continuare a versare vino nel mio bicchiere. Sicuramente si preoccupa che mangi con gusto, o che mi ubriachi quanto prima. Come si può spiegare che non ce n'è bisogno? O forse ne ha solo bisogno lei, ma non vuole sentirsi sola.
La passeggiata verso casa è durata un tempo convenevole tra il dimostrare di non avere fretta, e lo slacciarsi già i pantaloni per aver mangiato troppo. Cinque minuti dopo l'amaro eravamo nudi. Il desiderio nel corso della serata si era fatto convenzionale. Continuavo a pensare a quanti amori avevo avuto, a quanto speciali mi siano sembrati tutti, e a quanto poco in realtà rimaneva di tutto ciò. Quando mi ha messo una mano nei pantaloni ho lasciato tacere il cervello. Non poteva rovinare tutto dopo essermi sorbito tutta quella storia sul suo maestro dalla barba bianca. Non avevo idea che una donna di quasi trent'anni potesse avere un culo da far invidia ad una ventenne.
Non ho nulla da dire sul sesso con lei, a parte il suo gemere eccessivo nel coito, tutto si è svolto con naturalezza. Per me è insolito pensare ad altro mentre faccio l'amore, l'inverso vale quando invece faccio sesso.
Il dramma si è consumato nel post. Ero esausto, ubriaco e avevo solo voglia di una sigaretta. L'ho osservata nel suo calmo splendore e ho notato un viso sciupato. Mentre lei mi accarezzava dolcemente il petto io continuavo ad immaginarmi da vecchio, con lei, nella stessa situazione. Ho cercato goffamente di farle arrivare un po' di desiderio, di passione, ma tutto ciò che trasmettevo era un silenzioso affetto sopito nel tempo. Pure io mi percepivo vecchio, usato, intaccato dal virus della vecchiaia, sebbene manifestassi solo piccoli sintomi.
"Vado a fumarmi una sigaretta"
Ci siamo baciati come se fosse stato un saluto. É durato qualche secondo. Non v'era passione o desiderio. Mi è sembrato lei provasse vergogna. Io imbarazzo. Non sapevo giustificarmi il fatto che mi sembrava che si stessero baciando due anziani.
Non si può mai, e dico mai, resuscitare un amore. E della tenerezza non si può vivere in eterno.
O brucia, o non ha senso.
Quando sono tornato ho provato sollievo nel trovarla già addormentata.

27 settembre 2010

WHITE SENSATION



White sensation, fashion addicted, love paraid.. ma vuoi parlare come mangi? O se non parli come un londinese idiota mal integrato non sei nessuno?
"Andiamo alla White sensatione"
"Se ho voglia di mangiare che??"
Look, yeah, all-right, linkami, taggami, o non sei nessuno.
Dal punto di vista antropologico, è da considerarsi assolutamente logico vestirsi tutti i bianco per andare in un posto tutto bianco, dove la gente è vestita di bianco, e si chiama sensazione bianca. Io francamente come sensazione non ne ho provata nessuna, ne a sentirne i racconti ne a vederne le foto. Cosa ci sarà mai di così importante nel bianco non lo so. Ciò che so, è che la gente ha bisogno di omologarsi per accettarsi. Siamo tutti così fottutamente soli e persi e diversi che per trovare un denominatore comune abbiamo bisogno di travestirci con una veste bianca. Così da assomigliarci tutti, così tutti i cazzi e le fighe sono uguali, così la prima che capita me la porto a casa, così ho qualcosa da raccontare, così si avrò una sensation, ma di merda e vuoto.
Sono un urlo, un disperato, uno di quelli che se assomigliano a qualcuno in qualcosa, lo cambiano. E non entro in questo mondo, nemmeno con la vaselina, e resto sulla soglia a guardare, e più guardo e meno voglia mi viene di entrarci.
Omologati, conformati, esorcizzati da ogni pensiero, e potrai ambire ad essere qualcuno. Si, tu sarai qualcuno nel mondo dei figuranti. Io mi assumo i miei rischi, e mi vesto di nero.
Io ho provato a googolare le mie chiavi di casa, senza trovarle. Ho assaggiato un cyber caffè e l'ho trovato amaro. Ho conosciuto uno special guest e l'ho trovato banale. Ho parlato anche con il suo amico, quello from Ibiza ma non sapeva lo spagnolo. Nella mia house non c'è il fracasso della discomusic. Non mangio ne fast ne slowfood. Odio hing hang e il cugino tai chi. Non sono alternative per insostituibilità. Non cambio mai per cui non posso essere trans in nulla. Non mi cattura nessuna definizione, nessun acronimo, mi sento out solo perchè il tuo flow mi arriva al cazzo e me lo fa sudare. Tu e il tuo linguaggio. Tu e le parole scontate che usciranno dalla tua bocca.
Stupiscimi uomo vestito di bianco, dammi una sensation, perchè sennò sei un white morto dentro che racconta palle.

Non vedo, non sento, non parlo

Faccio fatica a trovare le parole, ma le cerco. Qualcosa dentro di me si muove e se non lo faccio uscire rischio che mi venga un cancro, e che inizi a mangiarmi dentro. Sono lontano, lontano da ogni cosa. Le parole, gli sguardi, le chiacchiere, nulla più mi interessa. Solo nel mio cammino cerco di fare il vuoto attorno a me perchè voi tutti mi insultate con la vostra stupidità. E allo stesso tempo vi cerco, maledetti esseri umani, perchè senza di voi la mia solitudine sarebbe dilaniante.
Mi ritrovo con le mani in mano, a progettare, sperare, fingere, credere, e sempre i buoni propositi si scontrano con il mio vedere l'inutilità. Ho mille personalità e non mi riconosco in nessuna d'esse. Tutto, non fa altro che parlarmi del mio fallimento, e del vostro, e di come tutti si battano sulla spalla per confortarsi. Attedo, attendo non so cosa che possa salvarmi da quest'impasse di vita. Chiamami, dai un segno, travolgimi di passione e portami via anche solo per un giorno. Voglio vita, pura e dura, voglio credere, vivere, sapere, parlare. Voglio essere come gli altri, stolti arroganti convinti che la loro vita sia meno misera di quella degli altri. Voglio essere ciò che odio perchè solo così, forse, smetterò di sedere davanti a questo schermo, vomitando male.
Il mio vulcano dai sette fori chiude i battenti, vuole naufragare, speghersi, e smetter d'aspettare. E allo stesso tempo, il mio occhio cade sul cellulare, so che una chiamata potrebbe salvarmi, solo se sarai tu sconosciuta. Provo invidia solo per ciò che non conosco. Tutto il resto mi sembra banale, ovvio, scontato, già visto.
Vivo una grande abbuffata, e morirò di fame, con la pancia piena.

24 settembre 2010

Gracidio


Si è fatta aspettare quasi una mezz'ora buona prima di arrivare con il suo sorriso. È solo la seconda volta che esco con Sara, e questo suo sentirsi padrona del mio tempo m'ha ammazzato lentamente con una sigaretta di cinque minuti in cinque minuti. L'orologio non è mai andato così lento, le mie mani sudate torturavano il polso in cerca di una qualche giustificazione, ma nulla sembrava quietarmi. Se lascio libera la mia mente tutto è dubbio, e la mia impotenza mi si manifesta con violenza.
Quando intravedo la sua sagoma sbucare da dietro l'angolo della piazza subito cerco il contegno che credo di non riuscire a simulare. Spengo la sigaretta come se fossi Humprey Bogart in uno dei suoi migliori profili, strofino le mani sui pantaloni e attendo che si annulli la distanza tra noi. Lei mi saluta spensierata con un bacio sulla guancia e non posso credere che sia così tranquilla. Iniziamo a passeggiare senza nessuna meta precisa, solo prendendo la direzione che i nostri corpi più comodamente hanno impostato da soli, e proseguiamo tra qualche chiacchiera di circostanza. Il mio savoir faire tarda a comparire perché lo attendo con ansia. Mentre fingo la mia sicurezza lei prende in mano la situazione, e inizia a raccontarmi del suo giorno, del film che ha visto e di quanto l'abbia toccata quella storia dei campi di concentramento polacchi, di cui, fino ad allora ignorava l'esistenza. Penso a quanto poco mi interessi tutta quella storia, così ingordamente fattaci mangiare tra i banchi di scuola, come se fosse l'unica tragedia di cui l'umanità abbia ricordo, dimenticando la tragedia di cui tutti su questa terra siamo vittima: la solitudine.
Sento che il mio cuore inizia a prendere a palpitare ad un ritmo più controllato, e l'ascolto nel suo farneticare concetti e verità in cui non credo assolutamente, ma l'assecondo, come faccio sempre, lasciandole credere che davvero sia importante quello che pensa del nazionalsocialismo. Lei continua a girarsi verso di me con un sorriso smagliante, quasi inconsapevole del fascino che esercita su di me, oppure troppo consapevole da riuscirle naturale. Fa un po' di freddo, ma non giustifica il tremore delle mie mani, e il tremore delle mie mani è incomprensibile se solo penso a quanto in realtà siamo lontani Sara ed io. Ha una giacca leggera che le mette in risalto la figura, e al di la di quello che dice mi sento profondamente attratto da lei, come se con la sua bellezza possa davvero mettere a tacere l'inquietudine che mi porto dietro.
Le sue parole e il battito dei suoi occhi mi rimbalzano addosso con perplessità. Mi accendo un'altra sigaretta, annuisco e mi sento consapevole della necessità di una svolta immediata. So, con tutta la forza che solo l'umiliazione di un rifiuto sa trasmettere che devo entrare in partita, giocare, fingere, darle quello che lei vuole. Darglielo ora, sennò ciò che resterà nei miei occhi di lei sarà solamente il ricordo della sua figura che si allontana così com'è venuta.
“Aspetta un secondo” mi dice allontanandosi tra un discorso e l'altro. Dopo poco torna con un paio di birre comperate per strada. “Conosco un parco qui vicino, è giusto a due minuti a piedi, ti va?”
Rispondo di si, e mi faccio guidare dalla sua gioia. Ci si racconta ancora un po' di vita, di sogni. Soffro nel comprendere che io vivo più della prima, e lei ancora troppo dei secondi. A lampi mi torna in mente il flusso che mi ha prodotto, e inconsapevolmente cerco quel punto di rottura in cui ho smesso di lasciarmi trasportare, e mi sono immobilizzato in me stesso, troppo concentrato su ciò che sono, come un animale in una specie di gabbia di cui riesce a presagire le sbarre, senza però vederle.
Si ride, anche se io non so farlo con quella spontaneità che invidio, ma chi c'ha voglia di spiegarglielo. Sara non può capire, e io non ho le parole giuste.
Arriviamo al parco, e mi stupisco nel vederlo così perfetto. La nebbia ha steso un lieve manto sul prato e io mi sento quasi come un fantasma che fluttua sulle cose, senza la possibilità di cambiarle minimamente. È Sara l'essere umano, io sono solo un'ombra.
“E non fumarti tutto il pacchetto” mi dice sfilandomi la sigaretta dalle labbra.
“Non ricordavo che fumassi” rispondo di riflesso, credendo che anche quello in fondo è conversare. “I vizi si prendono con la stessa facilità con cui si perdono le virtù” dico con tono paternalistico.
“Sei proprio barboso sai?” risponde ridendo.
Ad un certo momento le chiacchiere sono finite, e il mio cercare inutilmente qualcosa di grandioso da dire non faceva altro che aumentare la scomodità di entrambi. So solo essere ripetitivo, ma come si fa a spiegare che la sua sola presenzasa mettermi in difficoltà più di una platea di decerebrati? Ce ne stavamo li seduti nell'erba bagnata a sorseggiare la birra quasi finita. Poi è iniziato un leggero gracidio, che s'è fatto più intenso man mano che il silenzio si faceva più presente.
“Non trovi che il canto delle rane sia così romantico?” mio ha chiesto sorridendomi. Si stava nascondendo la bocca dietro le braccia conserte, in attesa. Era davvero bellissima Sara, con quegli occhi pieni di vita.
“Lo trovo straziante” ho risposto senza controllo.
“Come scusa?” mi chiede attonita, quasi incredula. Il suo sguardo si chiedeva come avessi fatto a rovinare anche quel momento.
“Le rane non stanno cantando” rispondo in tono più diplomatico. “Il loro è un urlo di disperazione, vogliono a tutti i costi essere scelte da qualche rana. Lo fanno perché l'idea di rimanere sole le dispera tanto quanto l'idea di non lasciare nessuna traccia di sé”.
Il silenzio è rimasto intatto dopo le mie parole. Abbiamo finito la birra e ci siamo alzati. Sara guardava l'orologio, e sapevo che non l'aveva mai fatto in tutto il tempo passato assieme. Quando mi ha salutato ho percepito una sfumatura di affetto nel suo bacio. Non un briciolo di passione. Mi sono fumato l'ultima sigaretta guardando l'erba di fronte a me. Poi ho visto una piccola rana saltarmi nei pressi. Non gracchiava come le altre, e sembrava aver perso la strada per il fossato. L'ho raccolta tra le mani e l'ho guardata con tenerezza. Prima di andarmene via mi sono preso la briga di schiacciarla con il tacco della scarpa. Ho cercato nervosamente l'accendino, ma poi ho pensato che non sarebbe servito a nulla, non avevo più sigarette.

22 settembre 2010

Orgoglio STUPIDO.

L'umanità si evolve, ce lo ha detto Darwin, che con grande stupore poteva dormire su un letto comodo piuttosto che su un ramo d'albero. Peccato che nessuno si sia preso la briga di contraddirlo e dirgliene quattro. Non ci siamo evoluti, siamo solo passati a camminare da 4 a 2 zampe. L'unica cosa che abbiamo sempre fatto è sempre stata quella di cercare di migiorarci, invano! Come diceva Guccini "è nostro destino tentare goffi voli d'azione o di parola, volando come vola il tacchino".
E così qualcuno un giorno ha deciso di palesarne definitivamente l'idea lanciando un'onesta campagna pubblicitaria. Non pensare "sii stupido", e vedrai che le cose andranno sempre a gonfie vele. Come ha risposto l'umanità? Come cazzo volevate che rispondesse? Con un urlo di gioia immensa, con un tripudio di vendite di magliette che finalmente, e senza pudore, potesse urlare al mondo: "IO VOGLIO ESSERE STUPIDO".
In questo clima di euforia per l'orgoglio stupido, io non vorrei arrivare come un angelo sterminatore, come un guasta feste, come un moralista, ma una cosa la voglio proprio dire: non servivano le magliette a confermare quello che siete! Stupidi! E oramai ve lo dico come un complimento. Siete stupidi tutti quanti, contenti? Chissà che qualcuno, che dall'alto della sua stupidità non capisce una mazza, leggerà questo articolo e pensi "Hey, stanno proprio parlando di me". Complimenti dunque, hai vinto un vaffanculo gratuito e una pedata in culo a pagamento (aggiungendo solo 4 euro al vaffanculo gratuito).

Non è mio uso regalare perle ai porci, ma lo faccio per quei pochi che come me s'indignano. Vi regalo una frase che m'ha salvato al solo sentirla. É di Saul Bellow, che se non sapete chi è potete sempre chiederlo a qualcuno che esce da un negozio Diesel.
"Con una grande boccata d'aria, intrappolata e sorretta nel suo petto, lottò per tutta la sua vita contro la propria angoscia. Non piangere stupido. Vivi o muori, ma non avvelenare tutto!"

No, non smetto qui.. voglio dire ancora una cosa. Perchè sono felice quando m'indigno. Do il meglio di me, che per pura casualità è il peggio per gli altri. Un dato per tutti. I tre libri più venduti nel '900:
1. Il capitale - scritto da K.Marx
2. Introduzione alla psicoanalisi - scritto da quel fico di Freud
3. La Bibbia - scritto da qualcuno che credeva di parlare con Dio
É vero che siamo solo a inizio di secolo, ma una stima statistica c'è già. I tre libri più venduti dal 2000 sono:
1. Harry Fotter - scritto da una che aveva preso acidi
2. Il codice da Vinci - scritto da uno a cui piace la settimana enigmistica
3. In love shopping in culo di tua madre - scritto da uno della campagna pubblicitaria della Diesel.

21 settembre 2010

i buoni

Questa mattina Paola si è svegliata con un forte senso d'angoscia. È una specie di senso di colpa represso. Dopo il primo divorzio si trova ad accorgersi di non essere più innamorata del suo attuale compagno. Lo vuole fuori dalla sua vita al più presto. Intanto lui le dorme accanto. Ciò che la tormenta è che le sue scelte ricadano come macigni sulle spalle della figlia di dieci anni.
Il caffè sale nel freddo della stanza vuota in una mattina d'autunno. Questa cosa del dover andare a lavorare non fa altro che posticipare il suo analizzarsi e semplicemente, soffrire. Un peso sullo stomaco che t'accompagna ovunque. Il lavoro è sempre d'una monotonia quasi snervante, svilente, servile, alienante. Ma in realtà la meccanicità crea processi d'innerzia. Tutto scivola via liscio senza intoppi. Paola si focalizza solo nel momento di in cui uscirà da quest'inferno, per andarsene in un altro.
"Posso parlarti?" chiede il suo boss.
"C'è qualche problema?"
"Questa cosa qui è stata fatta male"
Io sono nel corridoio, ascolto di sfuggita un paio di critiche mosse in tono arrogante. Mi avvicino indisturbato con una scusa banale, e cerco di rendermi partecipe della scena. Paola teneva gli occhi bassi. Incassava senza opporre alcuna resistenza. In fondo non le importava quello che si sentiva dire. Voleva solo che la paternale finisse il prima possibile. Non contraddiceva. Non si difendeva. In mano teneva il cellulare con cui stava scrivendo alla figlia che sarebbe arrivata a casa per cena quella sera.
Lui, il classico imprenditore riuscito il cui nome è sempre seguito da appellativi tipo Presidente, o Assessore, o Ragioniere, se ne sta in piedi davanti a lei. Dalla parte opposta della scrivania aveva piantato i suoi piedi per ruggire quanta più frustrazione aveva addosso. I forti cercano sempre un debole su cui sfogarsi. Sanno che possono. Ho iniziato a pensare alla falsa demagogia che l'ha reso così popolare in città. Un vero paladino della giustizia, sempre pronto a porgere una spalla al primo sprovveduto. Onesto, rispettabile, è così esemplare nell'essere considerato una brava persona che come minimo gli si riempirà la chiesa di gente al funerale. "Era proprio una brava persona.."
I commenti prendevano toni davvero personali. Ciò che stava cercando di fare non era semplicemente lo sminuire il lavoro compiuto da Paola. Voleva arrivare a spiegarle che il lavoro era stato fatto male perchè dalle persone come lei ci si può aspettare solo cose fatte male. Come dice De André, la gente inizia a dare consigli quando non riesce più a dare il cattivo esempio.
Paola trova i miei occhi ad abbracciarla. Lo stomaco si chiude in una morsa, e un urlo mi si soffoca in gola. Cerco la porta per uscire dalla stanza, e ad ogni passo pensao che dovrei fare qualcosa.
Ma Paola è mia cugina, e il presidente è mio padre.
Gli pianto gli occhi addoso, poi lo ignoro, ed esco da quell'inferno.
Foucault diceva che prima di cercare di salvare il mondo, bisogna cercare di rendere migliore se stessi.

17 settembre 2010

Sti cazzo di baci.

Ogni volta che arrivi da qualche parte c'è qualcuno che ti deve baciare. Feste, ristorante, università, i due baci del "bella zio come ti butta" non hanno nessun pudore. Lascimo stare poi quelli che fanno gli alternativi del caz facendosene dare tre "perchè da loro si usa così". Non voglio nemmeno maledire quello stronzo che ha esportato i baci bella zio anche in spagna ad esempio. dove quando baci una persona ti da il bacio all'opposto che da noi. Scontri spiacevoli con alitosi croniche che quasi mi finivano in bocca.
Non amo il contatto fisico con altre persone. Mi gusto solo quello con cui amo veramente. È una questione personale: non toccarmi.
Ma il punto è questa innata euforia nel salutare un conoscente con una dimostrazione d'affetto quando gli si nota in faccia che pensa che io sia un cretino. Ma analizziamo meglio l'assurdità del "due baci bella zio" nelle sue varie sfaccettature: prendete quando siete gli ultimi arrivati ad un tavolo numeroso con prevalenza donne. Al primo sguardo noti già l'unica con cui salveresti la cazzo di serata sperando in un coito sorpreso. Quando l'hai baciata hai già capito la stronzata che hai fatto. Ora il cesso che le è seduto accanto vorrà la sua dose di contatto fisico. E dagli già anche al cesso, nella speranza che questo basti. "A sto punto ci baci tutte" dice l'altro cesso seduto dietro un'impervia groviglia di sedie e tavoli e bicchieri e caraffe e sigarette accese. La bestemmia che arriva al cervello è in un'altra lingua: "me cago en Dios". Balzi atletici e contorsioni da funanbolo arrecano alla mia schiena certamente meno doloro del bacio cerca bocca del cesso numero due.
E che dire poi del saluto affettuoso da parte di un uomo? C'è la versione, ti prendo la mano alla giovane (cioè con i pollici in alto), ti tiro verso di me, ti do un bacio come nel padrino, e con l'altra mano ti batto sulla spalla. Fratello! Oppure c'è anche quello ti stringo la mano e con l'altra ci circondo cercando di oltrepassare le spalle e battere due colpi secchi al centro della schiena. Sulle reni. Poi c'è l'abbraccio (che è l'unica cosa che mi gusto con qualche amico a cui voglio bene, meglio se cicciotto), il "ti afferro i coglioni", la pacchetta sul culo (un po' troppo no?).
Ma secondo voi, un ciao, non basta? To', una stretta di mano, via.

14 settembre 2010

il canuomo


Ci sono due tipi di cani. Non scelgono che tipo di cane essere, lo diventano. Guaio è del secondo tipo. Da cucciolo, ultimo ad essere nato, faceva fatica a ciucciare la mammella della madre. Non perchè lei in qualche modo glielo proibisse, altri lo facevano. Quelli sono i cani del primo tipo.
I cani del primo tipo sono fottutamente felici, se li vedi verso i 6 mesi sono irruenti, giocosi, sbadati e soprattutto non rispettano le gerarchie. Sono i bulli del mondo canino, e a volte anche di quello umano. I cani come Guaio invece no. La lotta per vivere in un mondo di bulli è rabbia. L'affetto è il solo senso. Le sofferenze sono causa di una sensibilità ingiustificabile. Un cane sensibile non sarà mai un cane felice. Guaio non è un cane felice, prova solo un senso di pace quando gli gratto il collo.
I cani del primo tipo provano piacere quando vengono strofinati. I cani del secondo provano gratitudine. Il piacere lo lasciano a quando si scopano la copertina prima di andare a letto.

N.B. Anche i cani del secondo tipo non rispettano le gerarchie. Ti ascoltano perchè sono perduti e ti seguono senza chiedere. Ma mantengono il libero arbitrio. Guaio, quando gli gira, fa quel cazzo che vuole.

12 settembre 2010

Everybody love sex


Sono solo al mio terzo post e sono sicuro che qualcuno si sta chiedendo che razza di pervertito io sia a mettere (almeno finora) solo foto di donne nude. Altri (i più) non se lo chiedono, gli piace e basta spulciare su internet, e meglio ancora se mentre leggono vedono in sottofondo un bel paio di tette. Che volete che vi dica, io appartengo a questo secondo genere di persone, e se devo scrivere, vedere due tette mi carica.
Sfacciato? Presuntuoso? Deviato? Ossessionato? Bah.. può essere che sia un po' di tutto questo e forse anche altro ancora, e chi non lo è scusate? Solo due tipi di persone non lo sono: i perbenisti, che pur di dire quello che gli altri (se non la chiesa o la famiglia) vogliono sentirsi dire lo dicono e col tempo lo pensano. Gli altri sono quelli che non pensano.
Un cretino una volta mi ha detto che per fare delle cazzate bisogna averne di fantasia, sennò può essere che ci stai tutta la vita a pensarci e non te ne viene in mente nessuna.
E poi qui non c'è spazio per la demagogia del cazzo. Chi non è d'accordo se ne vada pure. Qui non ci sono notizie, informazioni o perle di saggezza. Questo è il mio urinale, la mia latrina, il mio sfogatoio (chissà che qualche vittima del grande fratello in questo momento dica.. fico..) e qui non c'è nessuna censura (nemmeno nei commenti che non ci sono).
Signori miei, non è la gravità, ma il sesso ciò che fa girare il mondo. Chiedetelo a Bobbit che effetto fa ad essere un evirato su questo pianeta. E le altre soddisfazioni della vita? Il lavoro? Stronzate, avete (e tra poco ce l'avrò anche io) tutti un lavoro del cazzo, lavorate e faticate per guadagnarvi qualche sogno, e il più delle volte questo sogno è quello di portare una donna in vacanza e sentirsi ammirati per avergli pagato l'all-inclusive, quando non è andare a Riga a scopare corpi senz'anima. L'unico lavoro che meriterebbe la pena d'essere svolto è quello che esce dallo spirito, quello che fai perchè sennò muori, l'ARTE signori miei. Ma qui di arte non ne capisce un cazzo nessuno. Io compreso.
E di sesso? qualcuno ne capisce? Beh, la meccanica sembra chiara a tutti, ma poi chi lo sa usare? provate voi a scoparvi una bruttona o una top-model come quelle che vi stanno facendo leggere questo post del cazzo. Ce l'hanno uguale sapete?
L'unica cosa che fa la differenza nel sesso è l'organo riproduttivo principale: il cervello. Provate a scopare qualcuno che non sia un elettroencefalogramma piatto. Qui ci si deve scopare le menti, è con quelle che il sesso non è mai uguale. Altrimenti si è solo pippaioli che leggono un post perchè vedono due tette, e il giorno dopo si ricordano che volevano scoparsi una top-model ma sono finiti con una bruttona.

10 settembre 2010

Il nipote? La nipote.


Quante volte vi è capitato di avere amici dei genitori a pranzo? Beh, io sono decisamente sopra la media.
"ma come sei diventato grande"
"e tu sempre più vecchio invece?"
Quando si siedono a tavola è come se fossero seduti sul palco dell'Ariston, devono dare spettacolo. Il cibo è sempre troppo buono, il vino esclusivamente eccellente, e le chiacchiere sempre troppo forzate.
"E così sei tornato dalla Spagna.. raccontaci"
Oramai sono preparato a questo genere di stoccate, e con assoluta non curanza propino sempre il più breve e sensato riassunto di ciò che è successo. Sempre le stesse parole, lo stesso aneddoto, una battutina finale sul come si sta meglio a casa propria. Loro si sentono soddisfatti, arricchiti di questa nuova esperienza mai vissuta, i miei sono orgogliosi e fieri di avere il focolare familiare migliore del mondo, e io posso continuare a mangiare.
"Anche mio nipote sta lavorando in Spagna da qualche mese, ad Ibiza. Fa il cameriere e si sta facendo il culo"
Poveretto, passerà la maggior parte delle mattine chiedendosi dove cazzo si trova nel tentativo di smaltire il cocktail di droghe che si è preso la sera prima. Ibiza, il posto dove la gente che non sa cosa dire va per scopare. Con quella musica alta li l'approccio migliore è allenarsi sul sorriso e ingrassare il portafogli. Ma, a meno di non portarsi a casa la più marcia della serata, solo i belli scopano li (come ovunque). Quanti amici ho sentito che per poco.. ritornaci, sarai più fortunato? Mah.
"Andresti molto d'accordo con lui, quando torna gli chiedo di venire fin qui a conoscerti"
"Grazie mille, che bellezza"
Cosa poi mi potrei trovare a raccontare a suo nipote proprio non lo so. Mentre snocciolano, tra il primo e il secondo, le mille peripezie che quel povero indifeso proveniente dalla campagna si è trovato ad affrontare in un mondo crudele, io resto plastico. Magari potrebbe parlarmi del tribalismo e dell'energia che sente quando mettono su tribal house. Poi si sa che con il miscuglio di sostanze giuste altro che energia, vedi pure il santone Soho che ti parla dall'oltretomba. No grazie.
"Non so se ho ancora fame"
"Ma se non hai mangiato nulla"
"Non ho molto appetito"
Per essere più educato mi giro una sigaretta a tavola così prolungo di qualche secondo la mia indiscutibile cordialità. Ma forse era meglio se mi comperavo un pacchetto di Camel già fatte. Mio padre non si giustifica come io possa fumare, e soprattutto come possa fumare del tabacco da girare. Vorrei spiegargli che con tutte le canne che mi sono dovuto fare per sopportare la gente non è un così grande sforzo girare una sigaretta. Ma forse, e dico forse, è meglio che lasci perdere.
"Metto su il caffè"
"Mio nipote beve sempre e solo caffè vietnamita, dice che è ottimo per lo spirito"
Cazzo me ne berrei due litrate in lisciata se solo sapessi che funziona veramente. Ma sarebbe solo un'altra stupida illusione. E poi basta con tuo nipote, che c'è? hai avuto una vita così noiosa che se non parli degli altri non sai che dire? E poi suvvia.. almeno avessi UNA nipote come dico io, magari starei attento a scoprire dove e quando beccarla al ritorno, ma lo sfigato di tuo nipote non lo voglio più sentir nominare.
Sono allo sfinimento, il caffè non è mai venuto su così lentamente.
"Ma hai visto che taglio di capelli mi hanno fatto?" chiede la commensale a mia madre.
"Dovrebbero sfilzartelo più sui lati" risponde lei.
Dopo aver scoperto che lentamente mi stavano trascinando in una parrucchieria di basso profilo capisco che in realtà per una volta posso invertire le mie abitudini: prima la sigaretta poi il caffè.
"Esco a fumare una sigaretta"
"E il caffè?"
"Lo prendo al bar, grazie!"
"Allora a mio nipote.."
"Me lo saluti calorosamente, gli dica di restare dov'è che qui è un brutto mondo"
"Come?"
"No dicevo, scappo via che gli amici mi aspettano per bere il caffè assieme".
Esco in volata senza sapere mai cosa ne sarà dei capelli della signora, nè di quell'impasticcato di suo nipote. Sopravviverò?

9 settembre 2010

3 Sigarette

È la quantità di cui mi devo munire quando sto per affrontare una conversazione. Odio fumare, ma lo faccio perchè mi affascina l'idea di accorciare le sofferenze. In più adoro Humprey Bogart e il mio ego ne risentirebbe amaramente se smettessi.
"Hey ciao, quanto tempo, fermati un minuto che beviamo un aperitivo..". Sorriso perplesso, mano attorno alle spalle, trascinato fino ad un tavolo.
La prima sigaretta si accende subito dopo i convenevoli, presentazioni, baci, strette di mano e tutte quelle troiate che la gente deve fare perchè sennò il rituale della chiacchiera non è completo.
"e allora che si dice?"
La prima sigaretta serve per distrarre soprattutto. In primo luogo distraggo me dall'affanno di troppe banalità con l'attenta osservazione della direzione del vento, secondo distraggo il mio intercolutore (o interlocutrice?) con giochetti di mano in modo tale che non guardi il cielo e si butti su una conversazione sulle condizioni atmosferiche. Lo odio. In più io adoro pure la pioggia. Mi troverei in disaccordo pure su quello.
"scusa mah.. hai una siga?"
Mi sta rubando un'alleata fondamentale dal pacchetto troppo sgonfio. E in più è senza le sue.
Normalmente bevo solo birra, e guardo la carta dei menù perchè sono attratto dalle figure. Il menù però oggi è di quelli stretti e magri che già ti sembra di avere poca scelta. Aspiro, e aspetto..
"hai deciso? che prendi?"
In realtà la mia fretta non è mai data eccessiva sete. No. É solo perchè con l'arrivo della bibita scatta il momento seconda sigaretta. Il lasso di tempo è snervante, non so mai se intavolare una discussione sull'assurdità dell'esistenza citando qualche verso di Cioran, o parlare della crisi che Freud ha scatenato nella concezione dell'io, ma per fortuna molto spesso chi ho di fronte trova sempre un tema succulento: com'è andata l'estate?
Quello che ti sta chiedendo però è subdolo, perchè in realtà quello che ha passato un'estate figa è lui/lei, e sta morendo dalla voglia di parlartene. Sorrido, aspiro, pop corn, espiro, e penso ad una corda. Non ho mai capito se il pensiero sulla corda riguardasse me o l'altro.
"Ma vaa.. e poi?!?"
Arriva il drink e dopo il primo sorso ho un'enorme aspettativa. Spero sempre che sbadatamente ci sia servito assenzio puro di modo da risolvere definitivamente i convenevoli e sconvolgere la situazione e creare un diversivo. Non è mai così. Accendo la sigaretta numero due, e mi accorgo che è l'ultima. Dissimulo il panico cercando di capire perchè la sua vita su Facebook è così allettante quando in realtà per me non succede mai un cazzo. Il mio account si chiama a intermittenza. Odio facebook con tutte le mie forze, è uno strumento infernale che ridicolizza il genere umano ben oltre l'idiozia senile. Ma è utilissimo se non sei innamorato! Facebook è un ricettacolo di infoiati e ninfomani che si pubblicizza con foto e slogan in una sfrenata corsa all'orgasmo (questo non vale per le donne dopo i 30 perchè cercano solo un inseminatore con 740 medio alto).
Il discorso si prolunga perchè non sapevo quello che era successo.
"Ma non sai tu cos'è successo???"
Non avevo saputo che era successo che Luca aveva chiamato Maria pensando che fosse Matteo e gli ha detto che era orgoglioso di essere gay e di amarlo. La mia vena suda per lo sforzo nel trattenere un sorriso plastico da troppo tempo. Il mio occhio sbarbella in cerca di un fumatore nei paraggi. Nel passaggio chiave del discorso dopo il quale forse ci saremmo salutati intravedo un pacchetto di sigarette. Mi alzo di scatto accentuando il sorriso in segno di scuse, e mi precipito a scroccarne una.
"Dove ero rimasto?" mi chiede al risedermi.
"Sempre qui seduto con me no?"
Sento le gambe che si rilassano, beata nicotina, benedetto vizziaccio. Le boccate sono così grosse e piene che non sento per 3 volte la domanda che mi si pone:
"...e tu? che hai fatto?"
Suona un cellulare nel tavolo dietro al nostro. Fingo che la suoneria sia la mia cercandomi in tasca. Rispondo al nulla, imposto la faccia su un'espressione quasi di terrore e/o schifo.
"Scusa adesso torno..."
Spengo la terza sigaretta e non vedo più il senso di restare seduto li. Alzo i tacchi e vado!
"Grazie per il drink!"