5 gennaio 2011

un vecchio amico

L'inferno sono davvero gli altri. Spesso non è nemmeno quello che dicono, ma il come lo dicono. Mi annientano. Mi ero appena ripreso dalla depressione natale-capodanno causa di sconvolgimenti alcolici non indifferenti. Con l'alcool anche l'idiota di turno sa essere divertente. È un buon metodo per insultare agratis una persona partendo già con la scusa in tasca. Come ho detto è un metodo, non una soluzione, perchè poi l'effetto passa.
Comunque, sta mattina ho deciso che potevo smetterla di piangermi addosso e potevo uscire per strada, rendermi produttivo, con quel senso capitalistico-borghese da voltastomaco. La sveglia mi ha consigliato che forse era venuto il momento, l'ho zittita e mi sono lanciato senza indugio al mondo. Guaio con l'aria frizzante del mattino ha un altro colorito. Meno nicotina da fumo passivo che gli propino, e più cucciolo con 200 culi di cagne davanti. I facili entusiasmi sono sempre il pane degli stolti, così nemmeno un secondo dopo aver odorato la merda di Guaio, alzo gli occhi ed eccolo li: il mio vecchio amico Marco. Non ho mai capito cosa ci sia così tanto da ridere da far adirittura sparire gli occhi, lasciando il mio sguardo farsi strada tra un paio di piercing da mangia pasticche poco rassicuranti.
"Come va vecchio mio?"
"Come vuoi che vada"
"Che piacere vederti"
Se potessi provare piacere solamente vedendo un vecchio amico probabilmente non avrei mai buttato l'agendina che usavo alle superiori. Le due chiacchiere di circostanza si stavano svolgendo secondo i normali canoni comunicativi. Occupazione, capodanno, salute, speranze per il nuovo anno?
"Nessuna" ho risposto secco.
Mi ha fatto piacere suscitargli una risata, quando faccio ridere qualcuno è sempre una rassicurazione. Il problema sta nell'aspettativa che poi il favore ti venga ricambiato. Non succede quasi mai, ma brucia sempre. A volte mi sento come una prostituta sobillata dal fiatone di un uomo troppo ubriaco che non si preoccupa mai di gratificare lo sforzo con un orgasmo.
"Che fai ora? Prendi un caffè?"
"In realtà devo riportare Guaio a casa, e il caffè evito di berlo che già sono nervoso di mio"
"Dai vieni che allora te ne offro uno"
Chiaramente la gente non ascolta. Marco mi ha seguito raccontandomi per filo e per segno tutto ciò che meno di interessante c'era al mondo: la sua vita. Mentre lo guardavo, immerso nell'atmosfera da pareti gialle di un bar imbucato del centro, capivo che dietro tutte quelle chiacchiere e voler apparire c'era un giovane perduto che voleva solo un po' di compagnia. Odio provare compassione, perchè poi finisce che mi sento in colpa pure per tutti i pensieri poco ortodossi che mi vengono sulle persone. Così in segno di scusa gli ho concesso un paio di minuti in più dell'usuale. Guardavo il bar, e in mezzo ai tavoli dei pensionati che facevano il punto della situazione, ho intravisto un vecchio solo appoggiato al bancone del bar. Beveva caffè corretto grappa alle 9:30 di mattina. Aveva le guance colorate di rosso, un cappello scapestrato in testa, e gli occhi bassi da cane bastonato. Marco parlava e io pensavo solamente che avrei voluto sedermi vicino a quel vecchio, fammi correggere il caffè con doppia grappa, e starmene li in silenzio al suo fianco. Non so se lui avrebbe aprezzato la mia intromissione, ma io avrei goduto della sua compagnia più che di quella di Marco.
Per fortuna che dopo il caffè la sigaretta è d'obbligo, così, sono riuscito a rimettermi in strada, respirando un po' di libertà. Quel bar dava claustrofobia. Ci ho messo un po' prima di deppistare Marco, continuavo a vederlo come una gomma da masticare troppo usata che non ti si stacca più dalle dita.
"Ci vediamo presto" dice
"Contaci" rispondo.

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