16 gennaio 2011

Weidmannsheil

Le prove di forza finiscono sempre per avere la meglio su di me. L'auto aveva appena iniziato a percorrere i 600 km che dividevano l'inciviltà che ci lasciavamo dietro e la mancanza totale di civiltà che ci aspettava davanti. Mio padre guidava silenzioso, mio zio russava, io non facevo altro che guardare fuori dal finestrino tenendomi saldo alla testa di Guaio che dormiva sulle mie ginocchia. La linea bianca intermittente dava un senso di tortura infinita, e scandiva il passo verso le montagne che ci aspettavano. "Qui non si prende più la radio, metto un po' di musica" dice mio padre.
Speravo non fosse Toto Cutugno o qualche altro cantautore provinciale italiano. L'ultima volta che ho ascoltato l'isola di white per poco non meno il dj, mi aveva fermato il solo pensiero di dover affrontare anche tutti quelli che facevano il coro. Parte un cd di Mia Martini. Mi sento scomodo nel rapportarmi alla sua completa ignoranza delle cose basilari del mondo, ma la sua sofferenza d'amore basta a calmarmi un poco. Solo la sofferenza sa placare altra sofferenza, o almeno la fa sentire meno fuori luogo.
Non so chi me l'ha fatto fare, non so se resisterò 48 ore di fila con il sangue del mio sangue a raccontarmi aneddoti sul come si deve uccidere un animale. La morte è già così presente nelle facce che incontro per strada che forse guardandola direttamente negli occhi di un animale morto e sventrato potrà esorcizzarmi, e spingermi verso la vita.
Le montagne ci inghiottono in canali scoscesi, poi sempre più ripidi. Continuo a pensare che alla fine di questa strada le pareti rocciose ci stringeranno in una morsa dalla quale non riusciremo più ad uscire. Non riesco a respirare e sto scoppiando dalla voglia di accendermi una sigaretta. Il mio occhio continua a scrutare il livello del carburante, prima o poi questa carretta dovrà pur fermarsi a bere benzina. Ma gli spostamenti millimetrici non mi laciano speranza, e sempre più mi convinco che sarò come Anna Frank, morta due giorni prima della liberazione. Io ci lascerò la pelle a 2 km dall'area di servizio per mancanza di nicotina.
Continuo a pensare ai buoni propositi, all'idea che mi ero fatto di un tete-à-tete con mio padre, l'uomo che mi guarda e non mi capisce. Volevo compiacerlo, passare un po' di tempo con lui. La caccia, ho pensato, è fatta di silenzi, così almeno le parole non serviranno. Volevo solo stargli vicino un poco, sentire quel senso di complicità che abbiamo perso, se mai abbiamo avuto. Lo guardo mentre scherza con mio zio seduto al suo fianco, io rido dal sedile posteriore, ma il mio sorriso non arriva davanti. Forse è meglio così, almeno non corro il rischio che appaia forzato. Guaio si continua a rigirare nel sedile cercando una posizione comoda, ma le troppe ore nella macchina lo rendono nervoso. Sento lui più affine di mio padre. Ogni tanto penso di chiedere di poter smontare qui, un modo per tornare indietro lo troverei facile. Ma ho la bocca incollata dall'illusione di mio padre d'avermi con lui. 
Finalmente l'autogrill, smonto ancora prima che l'auto si fermi, Guaio salta giù dietro di me. Abbiamo fatto solo 300 km, e sono passate solo 3 ore dalla partenza. 

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