22 settembre 2011

orizzonte

Mi sono spinto a passeggiare fino al bordo del mare, al limite della terra calpestabile e inevitabilmente ho dovuto fermarmi. L'orizzonte sfumava indistinto e cielo e mare sembravano essere una cosa sola, un abbraccio incondizionato, una mescola di colore, un abbraccio silenzioso e confuso. Ho sentito l'angoscia dell'indistinto assalirmi da dietro, da dentro. Era una solitudine sorda, vuota, a bottoglie sul bagnasciuga, conchiglie rotte sotto i miei piedi. Indietro non posso tornare, avanti solo gelida acqua fino alle nuvole.
Sento pesante il respiro che mi tiene in vita, che mi placca in spoglie mortali e stanche.
Rassegnato ho fatto dietro front camminando ad occhi bassi. Sono tornato al conosciuto e noioso mondo di sempre senza riuscire a strappare nessuna certezza ulteriore del dovere incondizionato ad arrivare a domani. Una telefonata spezza il silenzio, la speranza s'attacca alla mia mano che ansiosa cerca di estrarre il telefono di tasca. Qualsiasi voce mi avrebbe salvato, qualsiasi richiesta sarebbe stata accettata pur di mettere fine a questo dialogo ininterrotto tra l'io e il me. Una battaglia sanguinaria di dubbi e irrimediabili certezze.
Mi stavano chiamando dal lavoro. Ho messo in silenzioso, e ho riposto il telefono nella tasca.
Arrivato alla strada mi sono seduto su una panchina. Nelle scarpe sabbia.
Continuo a ripetermi che domani inizierò nel modo corretto, basta con questa lotta, ho bisogno di una tregua.
Domani, domani.

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