4 febbraio 2011

passi

Cammino per le strade vuote, le serrande abbassate, luci spente alle finestre e balconi chiusi. Negozi come gabbie piangono da dietro vetrine impolverate che portano giorno dopo giorno la miseria verso il centro. Penso che un giorno inghiottirà tutto.
Guaio raddoppia i miei passi con le quattro zampe agili e sottili di un cucciolo che segue un'unica pista: la mia. Se sapesse che non so dove lo sto portando, e che scelgo la via scappando da me stesso e dalla mia solitudine forse si fermerebbe, o cambierebbe direzione.
Osservo sempre di più il suolo che uniforme sfila sotto i miei occhi assenti, e la cima degli edifici, che di giorno vengono illuminati dal sole e dal silenzio mi sembrano sempre più alti, inarrivabili. Mi faccio piccolo e scivolo via senza ombra nell'oscurità dei portici. Le mani in tasca frugano tra la sabbia che abbonda come le incertezze nella mente.
D'improvviso una ragazza sbuca davanti a me, sfidandomi nella mia direzione con lo sguardo. La sua figura esile mi rassicurerà per il tempo necessario ad oltrepassarmi, dopodichè torna estranea e resta solo la mia coda dell'occhio ad osservarla come una nave che s'allontana. Naufrago in questo oceano vasto di solitudine al ritmo sordo dei miei passi asimmetrici. Guaio ogni tanto lancia messaggi d'urina sui muri, impulsi per essere trovato, perchè qualche cagnetta rognosa possa giungere fino a lui raccogliendo la scia del suo spostarsi confuso, disordinato. L'ora delle chiusure dei bar non la sopporto, gente a flotti viene vomitata da porte secondarie. Scopati via dopo essere stati spremuti delle pecunie duramente sudate e presto svanite. Le scie d'alcool svaniscono nell'aria lasciando un solco nelle mie narici. Inevitabilmente l'odore si trasforma in quello del sesso consumato poco e male in camere fredde, asettiche di qualche hotel economico di periferia. Luci al neon rimbalzano nella mia mente senza lasciare scampo. Mi stringo il bavero sul volto esanime e allungo il passo. Voglio fuggire via da questo vento di morte che soffia sulla candelina che fievole muore dentro di me. Cerco, cerco senza sosta un po' di legna per riattizzarlo, lo cerco negli occhi d'una ragazza che non conosco ancora, e che per questo mi regala speranza. Mi accontenterei anche solo d'un po' di carta, che brucia forte, ma veloce, ma che allunga per un poco l'agonia e l'angoscia di chi vive di stenti, ma che per nulla al mondo vorrebbe andarsene in silenzio.
Dall'alto, giusto dietro un angolo di strada, mi investe il rumore di una festa. Mi fermo sotto qualche secondo, il naso all'insù. Mi giro una sigaretta che fumo a grosse boccate affumicandomi l'anima. Poi la stasi s'interrompe sola, e rimprendo la via, fatta dei miei passi che cercano invano di incrociarsi con quelli di qualcuno che come me, non ne può più.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sembra sempre più una discesa agli inferi ma senza ritorno.

Disordini ha detto...

Probabilmente siamo in troppi. A non poterne più. A sguazzare nell'indifferenza ridendoci sopra. Fingendo che non sia vero.