27 maggio 2011

Cammina anche tu in una valle di lacrime, ma solo con scarpe Geox.

Se non sapete per chi sto scrivendo ora è meglio che smettiate di leggere subito. Non importa conoscerla, bisogna sapere cosa è lei per me.
Me ne sono stato seduto sui gradini di una casa per quasi una mezz'ora. In una mano reggevo il cellulare che, nonostante fosse ultra tecnologico, non aveva incrementato la qualità dei messaggi che mi arrivavano; dall'altra chiaramente una sigaretta accesa. La guardavo consumarsi facendo attenzione a non far cadere la cenere. Ogni boccata avida la faceva scintillare davanti ai miei occhi con un leggero bruciore alla punta del naso. Lo sguardo sempre e solo li, a qualche centimetro da me. Il resto era di un  vuoto colorato, fatto di case sfuocate, vetrine sfuocate, alberi sfuocati, passanti sfuocati. Forse era tutto regolare, e l'unico fuori fuoco ero io.
Il tempo mi stava addosso come un maglione in lana pesante il giorno di ferragosto. Pizzicava ad ogni minimo movimento della mia anima cadenzata da un respiro lento ma grave.
Improvvisamente la mia attenzione è stata catturata da un volto di anziana. Se ne stava seminascosta a spiare il mondo da dietro una tenda all'ultimo piano di una palazzina. La sua mano faceva ombra nella parte più profonda del suo viso, ma la bocca dichiarava le ferite subite in un'espressione poco composta. Sembrava non distogliere lo sguardo da un punto fisso qualche decina di metri alla mia sinistra, in corrispondenza di una fermata d'autobus. L'ho osservata come se non avessi davvero di meglio da fare, ed in realtà era davvero così. Attendevo con lei, come lei, che la vita si decidesse a muoversi, che si decidesse a parlare chiaro. La mano del cellulare sudava appena sotto l'immobilismo più totale.
Improvvisamente dall'angolo in fondo alla strada se ne esce rumoroso un bus di linea. Uno di quei banalissimi bus stracolmi di zombie che cercano rifugio nella propria casa dopo la fatica del giorno. Mette la freccia e si ferma giusto nel punto osservato dall'anziana signora. Le porte si aprono e se ne escono due mocciosi con l'aria spavalda, una signora con le borse della spesa, un ragazzo di colore con tutto il nero della sua tristezza, ed un anziano signore. Un fremito ha perturbato la smorfia della signora. L'anziano s'è fermato un instante, di spalle alla scena, prima di infilarsi il cappello in testa e marciare nella stessa direzione da cui era arrivato con l'autobus. Aveva almeno quattro occhi incollati sulle spalle ad osservarlo increduli. Due erano i miei. Quando ormai era diventato una figura distorta dal riverbero del calore sull'asfalto, s'è fatto inghittire da una trattoria. La mia sigaretta ha perso la cenere in un fremito assordante. Alla finestra non c'era più nessuno, e il silenzio di una città semideserta è stato infranto dal cicolare ritmico e metallico delle tre persiane della casa della vecchia. Un motorino elettrico le spingeva tutte e tre verso il basso come fossero state tre ghigliottine riprese al rallentatore. Una sincronia perfetta per un suono così straziante. Si sono sigillate ben oltre la linea del suolo, schiacciandosi fino a far morire ogni spiraglio di luce. Poi il silenzio. Ho spento la sigaretta ormai consumata. Mi sono avvicinato al campanello di casa. La signora faceva Collati di cognome. Poteva essere anche un altro, che importanza aveva? Arriva un messaggio nel mio cellulare:
"Domani mattina ho lezione presto, non so se riesco a uscire sta sera".

14 maggio 2011

evasione

Dall'altro lato della miseria che attanaglia tutti c'è la noia. E così prendiamo il nostro corpo e lo spostiamo nello spazio in cerca di un po' di refrigerio, di un briciolo di avventura, o salmente di un po' di speranza che succeda, finalmente, qualcosa. Come in un imbuto la gente viene convogliata verso i cliché che rindondanti da più parti soffocano quel concetto di libertà che vorrebbero perseguire.
"Che fai questo fine?"
"Spiaggione, no? Poi aprono una nuova disco!"
La massa rassicura, il branco omologa, abbassa il minimo comun denominatore delle aspettative umane a due chiacchiere di circostanza, un mojito pagato 8 euro e una scopata mediocre nel parcheggio del bar.
"Com'è andato il week end?"
"Il delirio"
Il delirio è l'assoluta convinzione di andare da una parte mentre si sta fermi, fermi all'era del bronzo, o peggio, all'era del centro commerciale.
Me ne sto seduto nel mio abitacolo fumando con i finestrini chiusi, l'aria condizionata aumenta l'effetto malsano del tabacco intasando il sistema di filtri. Il puzzo non mi molesta, lo sopporto come parte integrante del panorama di miseria che mi circonda. Auto una di fianco all'altra in una processione lenta e inesorabile verso il mare. Come il salmone risale la corrente in cerca di spargere il suo seme, così il lavoratore migra verso il mare cercando di consolare la propria solitudine con alcol e sesso a buon mercato.
Al mio fianco, nella corsia dei prudenti, un'utilitaria stracolma di attrezzature da campeggio e di speranze si fa strada nella determinazione a conquistare il west. Il capo famiglia, capo branco guida con lo sguardo di chi sta compiendo il suo dovere anche nel giorno in cui avrebbe voluto starsene a bere birra e guardare le partite di calcio in tv. La rumorosa famiglia mette a soqquadro i sedili posteriori mentre la madre isterica agita le mani cercando di imporre la disciplina necessaria ad un esodo di tale calibro.
Tutti in direzione del mare, io compreso. Una lunga scia di miseria e speranze a buon mercato che ritualmente si ripete ogni fine settimana, perpetuando la sacra illusione che se tutti vanno da una parte un motivo ci sarà.
Ed io, che ho come unica sfortuna quella di viverci al mare, mi mischio a quest'orrore infernale legittimandolo, mentre cerco solo di tornare a casa.

2 maggio 2011

Dalla mattina alla sera aspetto che un sorriso sia rivolto a me senza che nessuna nube oscuri la vista delle stelle. Sanguino ad ogni secondo, muoio nell'attesa di ciò che non avviene e mai avverrà. T'amo di stomaco, di ventre, d'invidia per quello che al mio posto non sa che tesoro possiede.
Ti ho detto di non seguirmi, di non starmi vicino, io che con questo fuoco oscuro rischio di bruciare il tuo candore. Te l'ho detto con l'inganno, con malizia, come quello che dice no, ma intanto chiede, spera, aspetta e sanguina.
Non so se tu m'abbia preso alla lettera, o se solamente ti sei persa nei labirinti della vita, o più semplicemente ti sei incantata a guardare occhi che non sono i miei.
Sono infame, sconclusionato e duro nel mio vivere così avidamente un'intensità che fatica a svelarsi. "Non ci si può fidare di te" mi hai detto tra le mille parole che vomitavi senza senso apparente.
Mi chiedo come si possa essere così ciechi, come si possa rifuggire la vita senza assaggiarla, come si fa ad esser certi d'amare così follemente il pistacchio se non si è provato null'altro. E così me ne vado, con il mio strascico di dolore, inghiottito dall'ombra che così cara copre le mie lacrime dure. Sparirò, e questa vota mi costringo essere per sempre, anche se mi sembra così folle. T'ho urlato contro il mio amore incondizionato, son tornato vergine per aspettare il tuo corpo i tuoi baci che finora ho solo immaginato. Se tu solo sapessi quanti attimi di vita t'ho dedicato senza che tu me lo chiedessi. Se solo sapessi quanto abbiamo vissuto, tu ed io, senza che tu non ti sia nemmeno mai mossa dalle tue certezze, sicurezze. Ma cautelarsi nei confronti della vita è come mettersi un salvagente durante il diluvio universale. Così tu sfiori dolcemente la superficie dell'acqua quando all'orizzonte sfidano nubi tempestose, ed io, perforato dal troppo dolore annego lentamente fino ad adagiarmi nel fondo. Sono un relitto buono solo per i vermi. Sono un cuore che ama sempre e solo a senso unico. Corri spavalda, va' pure dove ti pare, quando l'inerzia consumerà stanca la sua spinta forse capirai, o forse semplicemente avrai già dimenticato d'essere stata l'arma del mio delitto.